Avrebbero fornito supporto durante la lunga latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro, e per questo la Procura ha richiesto condanne significative per tre persone coinvolte: l’architetto Massimo Gentile, il radiologo Cosimo Leone e il giovane incensurato Leonardo Gulotta. I tre, arrestati il 27 marzo dello scorso anno, sono attualmente sotto processo con rito abbreviato davanti al gup Marco Gaeta.
Le richieste della ProcuraIl procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Gianluca De Leo, Bruno Brucoli e Pierangelo Padova, che hanno coordinato l’inchiesta, hanno richiesto:
La sentenza è attesa nei prossimi giorni, dopo che gli avvocati difensori presenteranno le loro argomentazioni.
Le accuse: supporto logistico e identità fittizieSecondo la Procura, Gentile e Leone avrebbero svolto un ruolo chiave nel garantire supporto logistico e coperture al boss durante la latitanza.
Massimo Gentile: l’architetto avrebbe prestato la propria identità a Messina Denaro, consentendogli di acquistare una Fiat 500 e una moto. La carta d’identità di Gentile, con la foto del boss ma i suoi dati, sarebbe stata usata per effettuare l’acquisto. Gentile, dal 2019 dipendente comunale in Lombardia, si difende attraverso i suoi avvocati, Antonio Ingroia e Mario Di Trapani, sostenendo di essere vittima di un furto d’identità.
Cosimo Leone: il radiologo, invece, avrebbe fornito assistenza sanitaria a Messina Denaro durante un ricovero presso l’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo nel novembre 2020, quando il boss, già malato di tumore, era stato sottoposto a una TAC. Leone avrebbe anche fornito una scheda telefonica al boss, ricevuta da Andrea Bonafede, già condannato come uno degli alter ego di Messina Denaro.
Leonardo Gulotta: il giovane, unico tornato libero, avrebbe fornito il proprio numero di cellulare per facilitare l’acquisto della Fiat 500 da parte del boss. Tuttavia, la difesa contesta il coinvolgimento diretto di Gulotta, sostenendo che il numero indicato potrebbe essere stato volutamente alterato da Messina Denaro per confondere le tracce.
Gli avvocati dei tre imputati hanno respinto le accuse.
Questa indagine si aggiunge alle numerose inchieste che hanno portato alla luce la rete di supporto che ha permesso a Messina Denaro di rimanere latitante per quasi 30 anni. Il boss, arrestato il 16 gennaio 2023, si sarebbe avvalso di un sistema ben organizzato di professionisti e fiancheggiatori per garantirsi anonimato e assistenza logistica e sanitaria.
La sentenza attesa nei prossimi giorni potrebbe rappresentare un ulteriore passo verso la ricostruzione completa della rete di complicità che ha protetto uno dei boss mafiosi più ricercati al mondo.