Gaetano Cappellano Seminara, l’avvocato al centro dello scandalo sui beni confiscati alla mafia e considerato braccio destro dell’ex giudice Silvana Saguto, potràuscire dal carcere di Bollate, dove è recluso da un anno e mezzo, per svolgere lavori socialmente utili tre volte a settimana. La decisione è stata presa dal tribunale di Sorveglianza di Milano, nell’ambito dei provvedimenti previsti per la rieducazione dei detenuti e il loro reinserimento nella società.
Il caso e la sentenza definitivaLa Cassazione ha recentemente respinto il ricorso straordinario di Cappellano Seminara, confermando che l’avvocato consegnò un trolley pieno di denaro all’ex giudice Silvana Saguto come parte di un patto corruttivo legato alla gestione dei beni confiscati alla mafia. Cappellano Seminara, per anni destinatario di numerose amministrazioni giudiziarie, è stato uno dei protagonisti dello scandalo che ha travolto la gestione di questi beni, mettendo in luce un sistema di corruzione che ha scosso profondamente la fiducia nell’intero settore.
Nonostante alcune accuse nei confronti dell’avvocato siano ancora oggetto di un secondo processo d’appello, una parte della condanna è ormai definitiva. La possibilitàdi svolgere volontariato è concessa in base alle disposizioni di legge che mirano alla rieducazione e al reinserimento dei detenuti.
Gli sviluppi del caso SagutoSilvana Saguto e il marito, Lorenzo Caramma, si trovano anch’essi in carcere dal 2023, dopo la sentenza della Cassazione che ha reso definitive alcune delle condanne a loro carico. Entrambi sono afflitti da problemi di salute e stanno scontando la pena in condizioni di detenzione senza possibilitàdi uscire. Cappellano Seminara, invece, ha ottenuto il via libera per svolgere attivitàdi volontariato, segnando una differenza nelle modalitàdi sconto della pena.
Un provvedimento controversoLa decisione del tribunale di Sorveglianza di Milano ha giàsuscitato polemiche. L’opinione pubblica resta divisa sulla possibilitàdi concedere agevolazioni di questo tipo a chi è stato condannato per reati così gravi e che ha ricoperto ruoli di responsabilitànel sistema della gestione dei beni confiscati, compromettendone l’integrità.
Il caso continua a rappresentare una ferita aperta nella lotta alla criminalitàorganizzata e nella gestione dei beni confiscati alla mafia. Restano infatti al centro del dibattito pubblico le conseguenze di un sistema che avrebbe dovuto restituire alla collettivitàrisorse sottratte alla criminalitàe che, invece, è stato compromesso da corruzione e interessi privati.