Il gup Marco Gaeta ha emesso il verdetto per il processo in rito abbreviato contro tre presunti fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, il boss mafioso arrestato lo scorso anno. Due professionisti, l’architetto Massimo Gentile e il radiologo Cosimo Leone, sono stati condannati rispettivamente a 10 e 8 anni di reclusione per associazione mafiosa. Al contrario, il giovane Leonardo Gulotta, incensurato, è stato assolto "per non aver commesso il fatto".
Le condanne e l'assoluzioneLe condanne per Gentile e Leone sono state inferiori rispetto a quelle richieste dalla Procura (12 anni). Per Gulotta, per il quale erano stati chiesti 6 anni e 8 mesi per concorso esterno, la decisione del giudice segna un punto importante: è l'unico tra i presunti fiancheggiatori del boss ad essere stato assolto.
Le accuse ai condannatiSecondo l'accusa, Gentile avrebbe prestato la propria identità al boss per consentirgli l'acquisto di una Fiat 500 e di una moto, utilizzando documenti falsi. Leone, invece, avrebbe assistito il latitante durante un ricovero presso l’ospedale di Mazara del Vallo nel 2020, cambiando turno per essere presente durante una Tac e facendogli recapitare una scheda telefonica tramite un intermediario.
Gli avvocati di Gentile, Antonio Ingroia e Mario Di Trapani, hanno sostenuto che il loro assistito sarebbe stato vittima di un furto di identità, una tesi che il giudice non ha accolto.
La posizione di Leonardo GulottaIl giovane Gulotta era accusato di aver messo a disposizione di Messina Denaro il proprio numero di cellulare durante l'acquisto della Fiat 500 nel 2015. Tuttavia, la difesa, rappresentata dall’avvocato Mariella Gulotta, ha sostenuto che il numero indicato dal boss fosse simile, tranne per una cifra, a quello di una donna con cui il latitante avrebbe avuto una relazione. Il giudice ha accolto questa prospettiva, escludendo ogni responsabilità del giovane.
Un sistema di complicità ben radicatoIl processo ha evidenziato come Messina Denaro abbia potuto contare su un complesso sistema di fiancheggiatori, capaci di fornirgli supporto logistico e sanitario durante la sua lunga latitanza. Leone, ad esempio, è stato accusato di favorire il boss durante un ricovero legato alle cure per il tumore, dimostrando come il latitante fosse riuscito a penetrare persino nelle strutture sanitarie con l’aiuto di professionisti insospettabili.
Un quadro che si delineaLa vicenda, con le sue condanne e l’assoluzione, rappresenta un ulteriore tassello nel complesso mosaico della rete di supporto che ha permesso a Matteo Messina Denaro di rimanere latitante per quasi trent’anni. Le indagini continuano a far emergere nuovi dettagli, mettendo in luce la ramificazione delle sue complicità e il ruolo chiave di professionisti insospettabili.