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24/02/2025 06:00:00

I diari di Messina Denaro, il mito e il contrasto dei mafiosi anche da morti

 Perché gli scritti intimi di Matteo Messina Denaro sono diventati un libro? Secondo l’autore de “I diari del boss”, il giornalista Lirio Abbate, la pubblicazione è servita per mostrare a tutti la vera natura di uno che pensava solo a se stesso, arricchendosi alle spalle degli altri.

 

Il libro, che si fonda prevalentemente sulle lettere di Messina Denaro destinate alla figlia Lorenza, è stato presentato al Teatro Selinus di Castelvetrano, prima tappa nella provincia di Trapani.

Il capomafia, arrestato a gennaio del 2023 dopo trent’anni di latitanza e morto di cancro a settembre dello stesso anno, nel periodo che va dal 2003 al 2016 aveva scritto appunti e pensieri in due quaderni, che Lirio Abbate pubblica e commenta in questo libro.

 

Ma per Antonello Cracolici, presidente della Commissione parlamentare antimafia regionale, intervenuto sul palco a dire la sua, ci sarebbe molto di più. Le pagine dei diari sarebbero infatti un “manifesto di futuro che in qualche modo Matteo Messina Denaro indica a chi verrà dopo di lui, in nome del padre e forse in nome della figlia”.

In quei testi – ha sottolineato – c’è l’obiettivo di lasciare ai posteri la figura mitologica non solo di sé, ma della mafia”.

Cracolici ha anche aggiunto che “questo libro ci insegna che oltre a combattere i mafiosi da vivi, dobbiamo contrastarli anche da morti”.

 

Insomma, secondo il presidente dell’Antimafia regionale questi diari sarebbero dunque un testamento per la nuova mafia, anche se disattivato da una pubblicazione opportunamente commentata dall’autore del libro. Per carità, un’ipotesi intrigante, ma se fosse davvero così i mafiosi sarebbero molto più sensibili alle parole del boss, rimanendo invece indifferenti alla disamina di Lirio Abbate. In sostanza, l’antidoto non funzionerebbe.

 

Quanto al contrasto dei mafiosi anche da morti, l’auspicio non può che stridere col contrasto nei confronti di Messina Denaro da vivo. Soprattutto quando pensiamo alla sua vita tranquilla a Campobello di Mazara e dintorni senza che nessuno delle forze dell’ordine presenti sul territorio si accorgesse di nulla. Senza contare quei giorni in cui passava a salutare Laura Bonafede, sempre alla stessa ora, senza che nessuno si facesse delle domande.

E nel frattempo, chi si occupava di droga e armi? Chi si infiltrava nelle pubbliche amministrazioni? Chi aveva un ruolo di primo piano negli affari illegali della provincia? Non lo sappiamo. Siamo rimasti per trent’anni a dare la caccia al boss, focalizzati sul suo ruolo nelle stragi del ’92 e ’93, sulle sue responsabilità nell’uccisione del piccolo Di Matteo nel ’96 ed altre cose forse ancora più datate, mentre degli sconosciuti facevano quegli affari che lui non poteva fare “perché se no – come ha detto più volte negli interrogatori – sarebbe andato a sbattere”.

 

Oggi il cambiamento è ancora possibile - ha detto invece don Luigi Ciotti nella stessa presentazione – C’è una città dentro la città. Io conosco delle persone che hanno sempre lottato. Però basta, non parliamo più di Matteo Messina Denaro, mi piacerebbe parlare delle tante cose positive che ci sono, di quei pezzi di scuola e di quegli insegnanti che ce la mettono tutta. A Castelvetrano ci sono persone belle, autentiche”.

 

Ma anche meno belle e meno autentiche. Di queste, invitato sul palco da Salvatore Inguì (referente provinciale di Libera, che ha moderato l’incontro), ha parlato Giuseppe Cimarosa, figlio di Lorenzo, collaboratore di giustizia morto nel 2017: “Matteo Messina Denaro è stato rispettato e temuto da tantissime persone in questo territorio. Mio padre è stato vicino a queste persone, essendo mia madre cugina del boss. Ovunque loro andassero gli si spalancavano le porte, pure negli ospedali. Oggi i parenti più stretti di Messina Denaro continuano a vivere normalmente in questa città, senza aver mai sentito la necessità di andare via. Mi chiedo, come sopravvivono se nessuno lavora? Sembrano essere loro gli eredi di questo mito. Però, se lui alla fine ha perso contro lo Stato, io ho vinto contro di lui. Sono ancora qui a Castelvetrano e sono vivo. Lui è morto.

 

Egidio Morici