Dire tutto in 180 giorni. L'ammissione del collaboratore di giustizia al programma di protezione definitivo è rigettata in base a un limite imposto dalla legge: il pentito deve fare le sue rivelazioni entro 180 giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare con la magistratura inquirente. Termine, i 180 giorni, considerato "funzionale" a garantire la "genuinità " delle dichiarazioni e a evitare abusi, realizzabili se fossero ammesse "dichiarazioni a rate". Secondo quanto riferito dalle Procure proponenti di Firenze, Caltanissetta e Palermo, Spatuzza ha iniziato a collaborare con la magistratura inquirente il 26 giugno 2008, ha reso ulteriori dichiarazioni a partire dal 16 giugno 2009 e, quindi, nel giudizio contro Marcello Dell'Utri (Corte d'appello di Palermo), il 4 dicembre 2009. Rispettivamente sei mesi e un anno dopo la conclusione del verbale illustrativo.
Non provata la "genuinità " delle dichiarazioni. Nella sua delibera, la Commissione sottolinea come non vi sia alcun elemento che autorizzi a ritenere che di quanto riferito in quel dibattimento Spatuzza avesse già parlato entro i 180 giorni previsti dalla legge. Quindi, verrebbe a mancare il requisito del tempo a riprova della "genuinità delle dichiarazioni", "obbligo di lealtà e di correttezza del collaboratore nei confronti dello Stato, dal quale egli aspira a ricevere un trattamento premiale".
Il legale: "Dichiarazioni tardive? Aveva paura". "Faremo ricorso al Tar", annuncia l'avvocato Valeria Maffei, legale di Spatuzza. "Si è autoaccusato di due stragi, Capaci e via D'Amelio - spiega l'avvocato -, per le quali non era nemmeno indagato. Ha rivelato particolari inediti, che hanno consentito di individuare altre piste. Non capisco questa decisione: lui ha spiegato perché non ha parlato nei 180 giorni. Aveva paura, e mi sembra un motivo credibile, data la caratura dei personaggi (Berlusconi e Dell'Utri, ndr) che stava chiamando in causa".
Di Matteo: "Spatuzza continuerà a essere ascoltato". Della decisione della Commissione si dice molto sorpreso il pm della Dda di Palermo Nino Di Matteo, presidente della giunta distrettuale dell'Anm. "Per quanto ricordi, è la prima volta che si nega l'ammissione al programma di protezione per i pentiti in presenza della richiesta di ben tre Procure della Repubblica - dice Di Matteo -. Comunque, la valutazione sull'attendibilità delle dichiarazioni resta di competenza delle autorità giudiziarie che hanno sentito e continueranno a sentire Gaspare Spatuzza".
Messineo: "Dichiarazioni valide anche se tardive". Francesco Messineo, capo della Dda di Palermo, ricorda come la Cassazione abbia "ritenuto che anche le dichiarazioni 'tardive', se rese nel contraddittorio tra le parti, possono essere utilizzabili. L'argomento usato dalla commissione del ministero è interessante ma controvertibile". "Ci riserviamo comunque di leggere con attenzione il provvedimento, per esprimere in maniera adeguata le nostre valutazioni" conclude il procuratore di Palermo.
Di Pietro: "Il messaggio: collaborare non paga". Toni ben più drammatici da Antonio Di Pietro. "Da oggi, Spatuzza è un morto che cammina - la sentenza del leader dell'Italia dei Valori -. La mancata assegnazione del programma di protezione a Spatuzza è un modo per intimidire coloro che riferiscono fatti rilevanti al fine di fare luce su alcune scomode verità . Non è un caso che le scomode verità , oggi, coinvolgerebbero proprio il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il suo parlamentare di riferimento, senatore Marcello Dell'Utri".