Ma ancora più pesante è l’inchiesta della magistratura sfociata nel sequestro dell’intera area di proprietà della Roof Garden di Michele Licata. Un’area enorme, di 18 ettari, rientrante nella zona umida dei Margi Nespolilla. Tutta una zona che Licata piano piano è riuscito a comprare, lotto per lotto, fino a creare un unico campo, quasi da Monopoli. E i reati contestati sono quelli di lottizzazione abusiva, abusivismo edilizio con l’aggravante di essere avvenuto in una zona a protezione speciale quale è l’area umida dei Margi.
Ricostruiamo i fatti. Che è un po’ quello che fa la procura nella disposizione del sequestro dell’area di Licata. Un’area di 18 ettari, come dicevamo, classificata come Sito di interesse comunitario/Zona a protezione speciale. Una zona protetta, di interesse internazionale come cita la convenzione Ramsar e sottoposta a vincolo paesaggistico. Allora cosa ha fatto la procura. È andata a vedere tutti i progetti di Licata che insistono in quella zona, in quei 18 ettari protetti, protettissimi, come vuole la legge. E si sono accorti in sostanza che quello che la Roof Garden voleva fare era un maxi centro turistico ricreativo, con tanto di campo da golf, struttura ricettiva, stabilimento balneare e tutta una serie di viuzze interne per collegare le parti. Più parti di un unico progetto. Da qui l’accusa di lottizzazione abusiva. Tutti i progetti di trasformazione dell’area di Torrazza sono tra loro perfettamente complementari. Collocati esattamente uno a fianco all’altro. I singoli progetti, secondo la procura, non sono altro che “singole porzioni di un tutto unitario, parti di un unico progetto urbanistico edilizio volto a trasformare l’area per realizzare un grande centro turistico ricettivo attrezzato composto, appunto, da uno stabilimento balneare, un centro golfistico con club house, due strutture ricettive oggi realizzate sotto le spoglie fittizie di opifici. Un progetto complessivo non dichiarato, e frazionato in una pluralità di interventi edilizi diretti, così da poter essere realizzato senza la necessità del doveroso piano di lottizzazione”. Ingegnoso, ma troppo pacchiano. Il tutto era camuffato in diversi progetti, sulla carta, di natura agricola. Oppure stagionali come quello dello stabilimento balneare. La concessione per il lido prevedeva la stagionalità, doveva smontarsi una volta conclusa l’estate. Ma a novembre è stato fatto il sopralluogo ed era tutto lì, e non aveva i requisiti della “smontabilità”. In realtà - secondo i rilievi fatti - la ditta aveva messo su uno stabile con fondazioni in cemento armato, travi e pilastri in legno lamellare e copertura in pannelli coibentati.
Poi ci sono gli opifici, sotto false spoglie. Due strutture nel bel mezzo della zona umida dei Margi che in realtà sarebbero diventate strutture ricettive. I magistrati hanno appurato che in sostanza gli opifici potevano essere plausibili in quella zona soltanto se avessero utilizzato, “con esclusività o in prevalenza“ , prodotti caseari ottenuti dalla coltivazione del fondo dove sarebbero stati costruiti. Ma i terreni adiacenti a quella zona, sono stati previsti come campo da golf e non come coltivazione. Il progetto per la realizzazione degli opifici aveva bisogno dell’autorizzazione paesaggistica mai richiesta e mai rilasciata. E questo porta all’illecito edilizio e a quello paesaggistico. Inoltre per gli opifici la Roof Garden non ha adempiuto alle condizioni dell’Assessorato regionale territorio e ambiente per il rilascio della Valutazione d’incidenza ambientale, ossia la bonifica e la rigenerazione del margio “contestualmente all’inizio dei lavori e non successivamente o eventualmente”. Oltre all’aspetto squisitamente ambientale c’è poi quello edilizio. E anche qui gli inquirenti hanno scoperto il trucco. Perché il primo progetto degli finti opifici sottoposto a V.INC.A. è diverso da quello realizzato e approvato dal comune di Petrosino. Il primo prevedeva due edifici dotati di un piano terra abitabile alto 4 metri e un sotto tetto con “funzione di volume tecnico non abitabile” dell’altezza di 1,70 metri. Nelle tavole approvate dal comune (e poi realizzate dalla Roof Garden) invece il solaio tra piano terra e primo piano è stato abbassato (3,10 metri ), di conseguenza il piano del sottotetto è risultato più alto: a 2,37 m di altezza, che quindi lo rende abitabile. Il progetto è stato elaborato per prevedere una serie regolare di finestre di dimensioni e forme conformi a quelle per uso abitativo o ricettivo e non a quelle per uso produttivo che per ilo sottotetto dovevano essere più piccole, mentre per il piano terrà più grandi. A fianco a tutto ciò era previsto il campo da golf. Il progetto non era stato ancora presentato, per le autorizzazioni di rito. Era ancora troppo presto, magari. E cosa prevedeva questo altro progetto? Un campo pratica, un campo da golf da sei buche, un club house. E poi ovviamente tutta le strade interne. I sentieri per collegare il tutto. Non soltanto il green con la club house, ma il campo da golf, con la struttura ricettiva e il lido. Nella lente dei magistrati finisce anche la strada sterrata realizzata accanto alla spiaggia. Ebbene, non doveva esserci, perché una delle condizioni per la concessione edilizia era quella della chiusura al traffico della zona della spiaggia di Torrazza. Questa strada ad un certo punto ha un bivio. Dove porta? Nell’entroterra, nei Margi dove si vorrebbe realizzare la club house del campo da golf. Svelato il trucco. Per la procura il piano era quello di presentare più progetti che non avessero nulla a che vedere, sulla carta, l’uno con l’altro. Tutti apparentemente indipendenti. Ma collegati tra loro. Sarebbe successo un po’ come accade spesso in Siciilia. Si presentano dei progetti per un uso agricolo del lotto di terreno, poi una volta costruiti gli alberghi si presentano i cambi di destinazione d’uso. Da agricolo a turistico. E il gioco è fatto. Ma la procura ha sigillato tutto.