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27/06/2013 04:51:34

L'analisi del voto nel Belìce/1. Localismi e assenza di leader mettono fine ad un modello

Una serpeggiante sottile linea rossa unificava le cittadine, che rientravano all’interno di una virtuale figura geometrica. Ne veniva fuori una comunità a tratti omogenea sul piano politico e sindacale, ma anche culturale e identitario. Sia pure con chiari e oscuri e tenui sfumature, il quadro complessivo appariva agli esterni come un modello da apprezzare e da emulare. Ai vertici di questo ideale triangolo stavano arroccati i comuni di Santa Ninfa, Partanna e Gibellina. Un ruolo a parte, ma non marginale, giocavano Salemi e Vita. Da ognuna di queste roccaforti, i sindaci del tempo, con le loro organizzazioni partitiche, costruendo solidi ponti di collegamento con altre realtà, esercitavano su tutta la provincia una forte egemonia politico-culturale. E non solo sui loro rispettivi partiti appartenenza. L’esempio più solido era costituito dall’asse Santa Ninfa-Marsala. Il patto d’acciaio forgiato ( in puro stile “stalin-barocco”) tra Vito Bellafiore ( sindaco comunista per 28 anni e senatore) e Pino Pellegrino (assessore e vicesindaco, deputato della Repubblica per tre legislature e senatore e dominus del Pci per almeno un quarantennio: ai suoi funerali l’orazione funebre letta proprio da Bellafiore) sarà destinato a durare per più di un ventennio, condizionando l’esistenza e le scelte dell’allora Pci e condannando all’emarginazione e all’oblio tantissimi altri ottimi dirigenti. Un patto d’acciaio forgiato, in puro stile “stalin-barocco”, tra Vito Bellafiore ( sindaco comunista per 28 anni, deputato regionale e senatore) e Pino Pellegrino (assessore e vicesindaco lilibetano, deputato della Repubblica per tre legislature e senatore). Durerà per più di un ventennio, condizionando l’esistenza e le scelte del Pci e condannando all’emarginazione tantissimi altri ottimi dirigenti. Da Partanna, invece, per la Balena Bianca ci pensava Vincenzino Culicchia, come sindaco dal 1962 per trenta anni e nelle vesti di segretario provinciale della DC dal 1965 al 1973, imponendo la linea del “partito di Centro che guarda a sinistra”, avendo buon gioco  con le sponde offertegli dal “gibellinese” Ludovico Corrao e dal sindaco “calzolaio” Bellafiore. A completare l’arco costituzionale provvedeva il repubblicano Vincenzo Renda,ininterrottamente sindaco di Vita, dal 1944 sino al 1985. Un primato difficilmente eguagliabile in Europa. Oltre ad essere molto noto ai croupiers di Saint Vincent e di Sanremo quando si aggirava negli splendidi saloni dei casino al tavolo di baccarà, magari in compagnia di belle donne, esercitava a modo suo molta influenza in provincia. La parte del “poliziotto cattivo” infine venva interpretata, ma solo ufficialmente, l’inossidabile Peppino Cascio, anch’egli longevo sindaco di Salemi. Sebbene a spizzichi, occupò la poltrona del Palazzo di Piazza Dittatura per ben 14 anni fino a quando venne arrestato e condannato a otto mesi nel 1984. Nel corso degli anni però, sull’altare della ricostruzione del Belice, venne consacrato il più grande consociativismo della storia repubblica. Molto prima che dilagasse in provincia, o a livello regionale e nazionale. Le “guerre” elettorali erano solo sceneggiate, buone per tenere riscaldate le tifoserie opposte. I Consigli Comunali finivano per essere solo organi ratificanti di decisioni prese in altre sedi. L’ultima grande operazione di questo stampo si concretizzò per la nascita dell’Ato Belice. Esaltato come modello da esportare e premiato persino dalla Lega Ambiente come il più virtuoso tra quelli siciliani. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.  Non stiamo dicendo niente di inedito. Ne parliamo per far capire come il sistema di potere che i cugini Salvo avevano esercitato in maniera trasversale sia stato poi ereditato dei loro epigoni. Una sorta di super partito che distribuiva le provvidenze, gli stanziamenti e anche le cariche istituzionali. Persino le leggi sul terremoto recavano le firme bipartisan. Persino gli appalti venivano gestiti in modo “equo”. Persino una delle cosiddette cooperative rosse diventava altamente “concorrenziale”, aggiudicandosi i lavori di importanti strutture pubbliche. Il sistema “Lima”, insomma, trapiantato in una zona terremotata. Perpetuatosi fino a qualche anno fa. E che oggi comincia a mostrare i sintomi di una profonda crisi, forse irreversibile.

Una lunga premessa sul passato per capire meglio il presente. L’ultimo appuntamento elettorale siciliano di qualche settimana fa ha dato un risultato chiaro oltre ogni ragionevole dubbio, come qualcuno ha scritto? In linea di massima  si. Quasi dappertutto nell’isola ci sonostati vincitori e vinti. Sicuramente ha vinto il centrosinistra, trascinato dal “Il Megafono” di Rosario Crocetta. Tra gli sconfitti, senza tema di smentita, metterei il centrodestra, quelli del famigerato 61 a 0 del ‘94, ma anche i seguaci di Beppe Grillo, che fino a qualche mese fa sembravano essere i nuovi “padroni” calati dal Nord. Tutto vero. Non dimentichiamo però che, contrariamente a quanto si pensi, in Sicilia il fascino non tanto discreto di Palazzo d’Orleans rimane sempre irresistibile. Per tantissimi l’odore della dispensa che contiene i contributi, le consulenze, le promesse di ogni genere, le promozioni, i contratti è inconfondibile e attraente. E’ stato così con il cuffarismo  e, in forma minore, anche con Lombardo. Anche se in effetti  a trarnei reali vantaggi erano i berluscones.  Erano loro a governare oltre ai nove capoluoghi di provincia quasi tutte le città di medio grandezza. In Sicilia, terra del sempre latente gattopardismo, più che le grandi questioni della politica (quella con la “P” maiuscola) prevalgono sempre quelle più pragmatiche strettamente legate alla borsa della spesa. Chi ne detiene i cordoni controlla le potere vero e non solo quello nominale, come è oggi quello dei sindaci, che hanno perennemente le casse vuote. Si calcola che solo per consulenze generosamente sono stati scuciti da Mamma Regione oltre 50milioni per 13mila incarichi vari. Sta tutto qui la chiave di lettura per capire l’ascesa del consenso nei confronti di Crocetta e la simultanea veloce scomparsa del Pdl dalla mappa del potere isolano. Rimangono, non a caso, solo i capisaldi di Caltanissetta e Trapani. In queste due province non si sono verificati infatti i sommovimenti registratisi, ad esempio a Catania o Messina. Dove, in pochissime settimane, vi è stata una corposa trasmigrazione di truppeda un versante all’altro. Interi squadroni, che, fino a qualche mese prima, erano schierati dall’altra parte della trincea, sono passati al “nemico” in men che non si dica. Il fenomeno del crollo dei grillini ha altri connotati. E’ direttamente proporzionale al successo ottenuto da Crocetta e alla delusione del loro capo carismatico. Altro discorso in provincia di Trapani. Qui lo “zoccolo duro” del berlusconismo non sembra essere stato scalfito. Ma solo apparentemente. E’ sufficiente analizzare l’andamento del voto nella Valle del Belice, per capire che si profilano all’orizzonte nuovi assestamenti. Un’area geopolitica, questa, che, come detto sopra, è stata da sempre la metafora dell’intera provincia. E’ qui che sono state anticipate talune scelte politiche in anteprima e in contro tendenza. Scelte che hanno avuto poi influenza e ripercussioni nel resto della provincia. Al di là delle dichiarazioni di rito, secondo le quali tutti hanno vinto e nessuno ha perso, occorre dire che la novità in assoluto è stata la diffusione di liste civiche, con dentro di tutto e di più. Il più felice sembra essere il senatore D’Alì. Per lenire la cocente sconfitta subita nell’hinterland trapanese, a suo dire, per alcuni tradimenti e a Castellammare del Golfo ha sottolineato il risultato di Partanna esaltando la figura di Nicola Catania definendolo “ nuovo sindaco di riferimento del centrodestra dopo decenni di assoluto dominio del centrosinistra". Mentre per il Pd è come se non si fosse votato in questa Valle. Invano troverete nelle dichiarazioni rilasciate dal capogruppo regionale Baldo Gucciardi, dalla vice segretaria provinciale onorevole Antonella Milazzo un riferimento al risultato elettorale di questa area. Addirittura la senatrice Pamela Orrù, dichiara “Abbiamo puntato su candidati giovani, con esperienza, incentrando la nostra proposta politica sulla serietà e sul senso di responsabilità e per questo gli elettori ci hanno premiato. Auguro buon lavoro a Biagio Martorana, confermato sindaco di Paceco, ed ai neo eletti a Valderice, Favignana, Pantelleria, Poggioreale e Castellammare del Golfo Mino Spezia, Giuseppe Pagoto, Salvatore Gabriele, Lorenzo Pagliaroli e Nicolò Coppola. Sapranno guidare i loro comuni egregiamente”. Una meticolosa elencazione dei comuni della provincia dove i candidati appoggiati dal suo partito ha vinto. Ma chiunque noterà che platealmente viene omesso il nome di Giuseppe Lombardino, segretario della sezione del Pd di Santa Ninfa, rieletto sul filo di lana sindaco con  appena il 32% dei voti, insidiato fino all’ultimo dalla psicologa Cristina Giambalvo, espressione della cosiddetta “società civile”, ma con un passato da candidata indipendente nelle file del PCI, e sostenuta in questa occasione dalla componente post democristiana dei democratici. Ne è passata acqua del Belice sotto i ponti da quando nel primo dopoguerra i braccianti della cittadina, nell’euforia della riconquistata liberta, innalzando la bandiera rossa con le stella, diedero vita alla Repubblica Socialista di Santa Ninfa. Togliatti dovette inviare il mitico Mommo Li Causi per far rientrare nei ranghi i “compagni” che non avevano capito che la rivoluzione era stata rinviata. Non è un caso che, moltissimi anni dopo, venne scoperta una base clandestina di “Gladio” proprio nelle campagne circostanti. Ma questa è un’altra storia.

- fine prima parte - 

Franco Lo Re