C’è un posto, tra Marsala e Salemi, immerso nei vigneti, che è una perla. O almeno così ci piace immaginarlo. Per la storia che si porta appresso, per quello che ha passato nel corso dei secoli. Quel posto, oggi è caduto in malora, è abbandonato.
O meglio. Proprio abbandonato non è il Baglio Rinazzo, nell’omonima contrada Marsalese.
Dentro un pastore ci tiene le pecore, e gli standard sanitari non sono visibilmente rispettati. Una ci aspetta, è malata, accovacciata e non sembra infastidita dalla nostra visita. Seduta all’interno di un fienile, con secoli di storia e pericolante. Arriviamo percorrendo le dissestate strade della inoltrata campagna marsalese una volta percorse dai carretti. Il posto è immenso, su una piccola collinetta che sovrasta la vallata coltivata a uva. Il Baglio Rinazzo è sicuramente la struttura rurale più grande e antica di questa città. Non c’è traccia, se cercate sul web, di questo antico baglio. Non c’è traccia sulle cartine. Eppure era la sede, pensate un po’, dell’istituto Agrario di Marsala, l’Abele Damiani. Le uniche tracce, le uniche testimonianze storiche che si possono raccogliere sono quelle del professor Giovanni Alagna (sempre utilissimi i suoi scritti per cercare di tener viva un po’ la memoria dei posti che hanno segnato questo territorio).
Eccone una sua descrizione:
"Il complesso è molto antico e trae origine dal casale Farchina, donato nei primi anni del XII secolo da Ruggero II ai monaci basiliani di Santa Maria della Grotta. La masseria può vantare quindi un’accertate continuità di vita di circa dieci secoli, anche se nella attuale configurazione risale al 1741, come risulta dalla data incisa sul portale di ingresso.
Nel 1552 il casale, insieme con l’abbazia, passò ai Gesuiti del Collegio Massimo di Palermo, che grazie ad una perfetta e moderna organizzazione economica lo trasformarono in una vera azienda capitalistica , specializzata nella produzione cerealicola. L’importanza economica di Rinazzo si rileva da un mandato del 1646, quando, in un periodo di carestia, i giurati inviarono un drappello di soldati a custodire il frumento conservato nel baglio “per non se li prendere li trapanisi che andavano in campagna in busca di formenti”.
Dopo l’espulsione dei Gesuiti (1767) la masseria fu assegnata al Marchese della Sambuca che la tenne fino al 1813, quando fu restituita alla Compagnia, che già da diversi anni era ritornata nel Regno. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi espulse i gesuiti e ne aggregò i beni al demanio dello Stato che assegnò Rinazzo alla provincia di Trapani, ancora oggi proprietaria del baglio e dell’ex feudo”.
E si vede. Si vede che la Provincia di Trapani è proprietaria di questo bene, praticamente abbandonato ma con secoli e secoli di storia. Pensate un po’, qui ci sono i trabucchi. Cosa sono? Delle botole nascoste nel pavimento, che portano ad altri ambienti.
Ci sono diverse teorie su questi ambienti, sui trabucchi. Potevano essere usati per conservare cibi, come scantinati, ambienti freschi in grado di conservare gli alimenti. Oppure erano strumenti di tortura, o meglio di uccisione rapida per ospiti sgraditi. Dal piano di sopra si faceva cadere la gente attraverso i trabucchi, e al piano di sotto c’erano delle grosse lance che trafiggevano gli sfortunati. Questa è storia da medioevo. Dal Baglio Rinazzo, dopo esser diventato di proprietà della Provincia, e quindi dello Stato, Nasce l’Istituto Agrario Abele Damiani di Marsala. Siamo nella seconda metà dell’800. E così scrive il professor Enzo Maggio: “La scuola trae origine dalla colonia agricola sita nell’ex feudo Rinazzo, proprietà gesuitica, amministrata dal Demanio per conto della P. I. in Sicilia. Con convenzione del 2/4/1873 la Provincia di Trapani veniva in possesso, per concessione dello Stato, di 300 Ha di terreno del suddetto Feudo per istituirvi una colonia agricola. Ma per quanti sforzi avesse fatto la Provincia, tanti si opposero tenacemente allo sviluppo di tale colonia e allora il Consiglio Provinciale, con delibera del 9/1/1877 stabiliva di spostare la sede della colonia a Marsala nell’istituto degli Artigianelli di San Carlo, oggi sede dell’Istituto Tecnico Agrario e Professionale Abele Damiani”.
Negli anni, dicevamo, è successo di tutto in questo baglio. Che senza manutenzione sta crollando a pezzi. La storia è passata da qui. Immaginiamo i gendarmi difendere le riserve di grano dai trapanesi, durante i periodi di carestia. Le massaie tirare su l’acqua dal pozzo, che ancora porta i solchi delle funi. I vecchi architetti ingegnarsi per costruire le possenti mura, le arcate, per sorreggere l’imponente struttura costruita sull’argilla. Saliamo su. Ci sono giornali degli anni sessanta, cartucce di fucile. C’è il telaio di un vecchio letto, in metallo. Qui, magari, una giovane coppia avrà consumato la prima notte di nozze. Al canto del gallo, dalla finestra, la sterminata campagna siciliana. Ci affacciamo. E, oggi, vediamo solo scheletri di animali morti, cacche di pecora, un posto che fu bellissimo distrutto dai barbari dei giorni nostri.