Si è concluso con sette condanne il processo a Trapani scaturito dall'operazione "Nassirya" dell'estate scorsa, che vide impiegati ben 70 carabinieri. A capo della rete c'era una donna, Francesca Incarbona, di 33 anni, a capo di un clan dedito allo spaccio a Trapani. Indagine chiamata “Nassiriya” perché la fiorente attività di spaccio che è stata stroncata si svolgeva prevalentemente nella omonima via, alla periferia di Trapani, situata nel quartiere popolare “Fontanelle Sud”.
Il gruppo – che aveva già subito alcuni arresti nel corso delle attività investigative – si componeva di pusher e grossisti, il tutto organizzato e diretto da una donna: Francesca Incarbona, la quale aveva assunto il ruolo di punto di riferimento e “capo” dei soggetti che si rifornivano degli stupefacenti prevalentemente sulla piazza di Palermo, per poi rifornire il mercato trapanese ed ericino. Donna energica, risoluta e dalle maniere sbrigative, era presso la sua abitazione nella casa popolare a Fontanelle Sud che aveva costituito un vero e proprio fortino della droga, con tanto di vedette che segnalavano l’eventuale arrivo delle forze dell’ordine. La stessa abitazione già nel luglio dell’anno scorso era risultata blindata con porte e finestre munite di sbarre in ferro, che i carabinieri hanno dovuto far rimuovere dai vigili del fuoco con le seghe elettriche per poter effettuare una perquisizione domiciliare.
A disposizione del clan anche dei minorenni usati come pusher. In una caso una giovane minore, controllata in compagnia della Incarbona di ritorno da Palermo, è stata riaffidata alla madre che, in quella occasione, aveva manifestato sdegno e rammarico per le “cattive frequentazioni” della figlia.
La condanna più pesante è stata inflitta proprio a Francesca Incarbona, per lei infatti otto anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione. Le altre pene riguardano Giuseppe Acabo, Pietrino e Giuseppe Cherchi, cinque anni e quattro mesi ciascuno; Bernardo Tesè, quattro anni e quattro mesi; Massimiliano Salafia, quattro anni; e Vincenzo Papa, tre anni e quattro mesi. Tutti gli imputati hanno chiesto ed ottenuto di essere giudicati con il rito abbreviato ed hanno dunque beneficiato della riduzione di un terzo della pena.