L'epidemia di Ebola non si ferma e il virus continua a fare paura. . . I paesi più colpiti sono Guinea Conakry, Sierra Leone e Liberia, dove la malattia si è diffusa anche nelle capitali. In Nigeria il numero dei casi è limitato e i siti colpiti ben localizzati; in Senegal si è registrato un solo caso prontamente identificato. Contemporaneamente, un’epidemia di MEV (Malattia Ebola Virus) si è invece sviluppata lo scorso agosto in Congo da un virus autoctono.
Secondo l'Oms il totale dei casi è salito a 8.914 e raggiungerà i 9 mila entro la settimana, mentre i decessi sono saliti a 4.447. Un piccolo barlume di speranza arriva però dal rallentamento del diffondersi dell'epidemia che, secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità, si sta verificando in alcune delle aree più colpite. L’OMS avverte che in Africa a dicembre il tasso di infezione arriverà a 5-10.000 nuovi casi a settimana. Gli esperti si aspettano inoltre che a breve i contagi superino quota 9.000, con oltre 4.400 morti accertati.
Secondo il vicedirettore generale dell’OMS, Bruce Aylward, se non verrà intensificata la risposta all’epidemia entro due mesi, si affronterà una spirale crescente di casi. Per invertire il corso dell’epidemia, l’OMS punta ad avere il 70% dei casi isolati entro dicembre. Altro obiettivo è quello di giungere entro 60 giorni a un tasso del 70% di sepolture sicure delle vittime. In Africa ci sono sicuramente virus che si trasmettono più facilmente, ma nessuno ha la capacità di uccidere come Ebola. La malattia da Ebola virus (MEV), precedentemente conosciuta come febbre emorragica virale da Ebola virus, è una malattia grave, spesso fatale. La malattia colpisce gli uomini e i primati (scimmie, gorilla, scimpanzé). L’Ebola è apparsa la prima volta nel 1976 in due focolai contemporanei: in un villaggio nei pressi del fiume Ebola nella Repubblica Democratica del Congo, e in una zona remota del Sudan. L'origine del virus non è nota, ma i pipistrelli della frutta (Pteropodidae), sulla base delle evidenze disponibili, sono considerati i probabili ospiti del virus.
In Italia, l’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Spallanzani”, INMI, è la struttura di riferimento nazionale ed internazionale per il virus Ebola. Lo Spallanzani ha un ruolo storico nell’affrontare tutte le patologie infettive e svolge funzioni cruciali in occasione di epidemie o emergenze sanitarie. Dal 2009 il centro è collaboratore dell’OMS per l’assistenza, la diagnosi, la risposta e la formazione sulle patologie ad elevata pericolosità. Attualmente l’Istituto detiene l’unico laboratorio italiano di livello di biosicurezza 4 e cinque laboratori di livello 3; una banca criogenica che può ospitare fino a 20 contenitori di azoto liquido e 28 contenitori a - 80°C, dotata di un laboratorio di livello 3 per la manipolazione e la preparazione dei campioni da congelare. L'INMI, che coordina la rete europea dei laboratori di biosicurezza di livello 4, ha contribuito da marzo 2014, immediatamente dopo l’identificazione del focolaio di Ebola, al dispiegamento di un laboratorio mobile di alto biocontenimento (BSL4) finanziato dalla Commissione Europea (DEVCO) in Guinea Conakry. E’ di questi giorni l’attivazione del laboratorio mobile coordinato dagli esperti dell’Istituto a Foya in Liberia, con il finanziamento della Commissione Europea e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Di conseguenza, le capacità di rilevamento e monitoraggio del virus in rapida diffusione sono state notevolmente rafforzate, non solo in Guinea, ma anche nei paesi vicini. Inoltre, da settembre, lo Spallanzani gestisce i Corsi di formazione sulla malattia da virus Ebola rivolti ai medici di tutti i servizi di Pronto Soccorso del Lazio, e l’avvio di un percorso per definire la gestione dei pazienti con patologie infettive che arrivano in pronto soccorso.
Ma cerchiamo di conoscere in maniera esatta questo virus che sta gettando nel panico tutto il mondo. Come agisce, come si diffonde il virus? Per avere notizie certe, al di fuori da allarmismi e false credenze, ho intervistato il prof. Pasquale Narciso, figura storica dell’Istituto Spallanzani, direttore U.O.C., da sempre impegnato nella cura di pazienti affetti da malattie infettive come, malaria, tubercolosi, Hiv e, adesso, Ebola.
“Professore Narciso, che tipo di virus è Ebola?”
“Il virus Ebola appartiene alla famiglia dei Filoviridae, famiglia di virus a RNA, che causa gravi febbri emorragiche nell’uomo e negli altri Primati. Ne sono stati identificati solo due membri: il virus Marburg e il virus Ebola (di cui si conoscono 4 sottotipi: Ivory Coast, Sudan, Zaire e Reston). Il primo fu identificato nel 1967 a Marburg, in Germania, dove 25 persone, impegnate nella preparazione di colture cellulari, si ammalarono e 7 di esse morirono.”
“Come avviene il contagio? Come è stato possibile che si sia diffuso così rapidamente?” chiedo, un po’ allarmata al pensiero che, anche in Europa, Ebola possa avere un fratello gemello.
“Bisogna evitare gli allarmismi inutili ed usare i protocolli già predisposti dal Ministero e dall’OMS. Il contagio non avviene così facilmente come sembra.
La trasmissione dei virus Marburg ed Ebola avvengono per contatto con materiali biologici di soggetti infetti (sangue, liquido seminale, secrezioni e organi) o manipolando animali infetti.”
“C’è la possibilità che il virus muti e che il contagio possa avvenire per via aerea, come avviene per l’influenza?”
“Finora nessun altro virus appartenente alla famiglia dei Filovirus, come Ebola o Marbug, ha subìto simili mutazioni genetiche, sarebbe il primo caso. Ma, sappiamo che i virus mutano.”
“Come è iniziata questa nuova epidemia ed esattamente come avviene il contagio?”
“La diffusione del virus è iniziata con un singolo episodio di contagio da un animale selvatico, probabilmente un pipistrello o un roditore, avvenuto verso la fine del gennaio scorso. Il contagio è poi proseguito per diversi mesi esclusivamente tra esseri umani, a differenza di quanto avvenuto in altre occasioni, fino a raggiungere una diffusione senza precedenti in aree densamente popolate come la Guinea, la Liberia, il Sierra Leone e la Nigeria.
L’Ebola si trasmette nella popolazione umana attraverso lo stretto contatto con sangue, secrezioni, tessuti, organi o fluidi corporei di animali infetti. In Africa, l'infezione è avvenuta attraverso la manipolazione degli scimpanzé, gorilla, pipistrelli della frutta, scimmie, antilopi di foresta e istrici infetti trovati malati o morti o catturati nella foresta pluviale. Nelle zone a rischio (foresta pluviale dell’Africa Sub - sahariana) è importante ridurre il contatto con questi animali ad alto rischio, non raccogliere animali morti trovati nelle foreste o manipolare la loro carne cruda.
Una volta che una persona sia entrata in contatto con un animale infetto da virus Ebola e abbia contratto l’infezione, questa può diffondersi all'interno della comunità da persona a persona. L'infezione avviene per contatto diretto (attraverso ferite della pelle o mucose) con il sangue o altri fluidi corporei o secrezioni (feci, urine, saliva, sperma) di persone infette. L'infezione può verificarsi anche in caso di ferite della pelle o delle mucose di una persona sana che entra in contatto con oggetti contaminati da fluidi infetti di un paziente con Ebola, quali vestiti e biancheria da letto sporchi dei fluidi infetti o aghi usati.
Svolgono un ruolo nella trasmissione di Ebola anche le cerimonie funebri in cui le persone hanno contatti diretti con il corpo del defunto. Le persone decedute per Ebola, infatti, devono essere maneggiate con indumenti protettivi e guanti ed essere sepolte immediatamente, in quanto ancora contagiosi.
Le persone sono contagiose fino a quando il sangue e le secrezioni contengono il virus. Per questo motivo, per evitare di infettare chiunque altro nella comunità, i pazienti infetti devono essere attentamente monitorati dai medici e sottoposti a test di laboratorio, per garantire che il virus non sia più in circolo, prima del loro ritorno a casa. Gli uomini, guariti dalla malattia, possono ancora trasmettere il virus a partner attraverso lo sperma, per un massimo di sette settimane dopo la guarigione. Per questo motivo è importante per gli uomini evitare rapporti sessuali per almeno sette settimane dopo la guarigione oppure indossare il preservativo nei rapporti sessuali durante le sette settimane dopo la guarigione. La trasmissione del virus tramite allattamento e per via sessuale può proseguire anche dopo la guarigione clinica.
Un contatto casuale in luoghi pubblici con persone che non mostrano segni di malattia non trasmette Ebola. Non si può contrarre la malattia maneggiando denaro o prodotti alimentari o nuotando in piscina. Le zanzare non trasmettono il virus Ebola. Non vi è alcuna evidenza di trasmissione del virus per via aerea, anche se per chi assiste i malati si suggerisce la protezione dalle goccioline di saliva. All’inizio, quando è presente solo febbre in assenza di vomito o diarrea o di manifestazioni emorragiche, il rischio di trasmissione è basso; nelle fasi tardive, quando compaiono manifestazioni emorragiche, il rischio è significativamente più elevato e rimane molto alto anche dopo la morte. Il virus Ebola viene ucciso facilmente da sapone, candeggina, luce solare o asciugatura. Il lavaggio in lavatrice di indumenti contaminati da liquidi è sufficiente a distruggere il virus Ebola. Il virus Ebola sopravvive solo per breve tempo su superfici esposte alla luce solare o secche.
Comparsa improvvisa di febbre, intensa debolezza, dolori muscolari, mal di testa e mal di gola sono i segni e i sintomi tipici, seguiti da vomito, diarrea, esantema, insufficienza renale ed epatica e, in alcuni casi, emorragia sia interna che esterna. Il periodo di incubazione o l'intervallo di tempo dall'infezione alla comparsa dei sintomi è tra i 2 e i 21 giorni, ma generalmente entro 7-8 giorni dal contagio. Il paziente diventa contagioso quando comincia a manifestare sintomi, non è contagioso durante il periodo di incubazione. L’infezione da malattia da virus Ebola può essere confermata solo attraverso test di laboratorio.”
“Quindi” chiedo, “non sembra poi così facile essere contagiato se si rispettano i protocolli ufficiali.”
“Certo”, risponde sorridendo, “Il fatto che il virus non infetti facilmente è, paradossalmente, un meccanismo di difesa del virus stesso. Infatti, se contagiasse tutti, si estinguerebbe anche lui, come è successo nei primi casi di Ebola. Ebola è innegabilmente un virus formidabile, ma non passa da persona a persona altrettanto facilmente di altri patogeni aggressivi, e non ci sono segni che stia mutando per diventare più virulento. I primi casi di Ebola diagnosticati negli Stati Uniti e in Europa nei giorni scorsi sottolineano la minaccia globale del virus e quanto sia importante contenerlo. Non possiamo azzerare il rischio fino a quando l'epidemia in Africa occidentale non sarà sotto controllo. Tuttavia, è evidente che la malattia può essere contenuta. Senegal e Nigeria sembrano aver già arginato la diffusione del virus. Ma altri fattori potrebbero esacerbare la minaccia se la malattia non sarà presto completamente contenuta. Nessuno ha studiato la durata dell'immunità a Ebola, quindi, benché al momento l'ipotesi è che duri diversi anni, è anche possibile che, per esempio, i pazienti sopravissuti si riammalino l'anno successivo.”
L’idea che il virus ci risparmia per non estinguersi anche lui, mi rassicura un po’!
“So che lei è da poco rientrato dalla Guinea, dove collabora, come volontario, al progetto DREAM avviato dalla Comunità di Sant’Egidio. Come interviene la Comunità di Sant’Egidio in questa emergenza? Come vive la popolazione questa nuova epidemia?”
“La Comunità di Sant’Egidio, con il Programma DREAM, è stata inserita nei settori della comunicazione e mobilizzazione sociale e della sorveglianza epidemiologica, in 3 prefetture della Guinea. DREAM, quindi, si occuperà di effettuare uno screening per i malati di HIV e le loro famiglie, d’informare la popolazione e di monitorare anche a domicilio le persone che hanno avuto un contatto con un malato di Ebola, o quelle che presentano sintomi riconducibili alla malattia, ma che non sono state ricoverate. Per queste attività si utilizzerà il personale e le risorse tecnico-organizzative che il Programma ha già messo in campo in Guinea. La Guinea, la Sierra Leone e la Liberia, mostrano gravi difficoltà nel contenere l’epidemia e soffrono, non solo per il numero di malati e di morti, ma anche per la chiusura delle scuole, il divieto di riunirsi, le restrizioni imposte ai viaggi e ai commerci che hanno causato l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Particolarmente vulnerabile è il personale sanitario, fra il quale ad oggi sono morti 216 tra medici e infermieri, in paesi in cui le risorse umane in sanità sono peraltro fortemente carenti.
In questi mesi il personale sanitario dei centri DREAM, che hanno in cura più di 3000 persone, si è trovato a fronteggiare questa grave emergenza. Sono state potenziate le misure di prevenzione (lavaggio delle mani con acqua clorata, guanti, mascherine e altre protezioni per i prelievi e per il laboratorio di analisi...) per proteggere sia il personale che i pazienti, ed è stata svolta un’azione capillare di monitoraggio, in particolare sui pazienti che interrompevano la frequenza al centro. Purtroppo, l’epidemia di Ebola sta modificando la vita e i sentimenti delle persone. A Conakry non ci si saluta più come prima, ci si evita, non si stringe più la mano e si ha paura anche dell'aria che si respira. Molti non mettono più camicie con le maniche corte e si cammina più del solito a piedi. Si convive con la paura e si cerca allo stesso tempo di andare avanti.
Anche se la televisione, che con ritardo ha iniziato una martellante campagna per la prevenzione, non parla di coprirsi il volto e il naso, molti lo fanno. Anche davanti ai chioschi e ai piccoli bar c'è l'acqua clorata.
E non si va più ai funerali o, prima di recarvisi, si raccolgono notizie dettagliate su come il familiare è deceduto.”
“E in Italia siamo pronti a fronteggiare un possibile contagio? Molti, in Sicilia specialmente, si preoccupano per possibili contagi dovuto agli sbarchi di immigrati clandestini. Che pericoli corriamo, secondo la sua esperienza?”
“Il rischio che un caso di Ebola possa verificarsi in Italia è basso, ma non impossibile. Lo scenario più probabile è che un caso sia rimpatriato da un’area dove è in corso l’epidemia. Ma dobbiamo essere pronti anche a gestire l’eventualità che un paziente rispondente alla definizione di caso sospetto bussi alla porta di un nostro Dipartimento di emergenza o pronto soccorso o a un reparto di malattie infettive. La persona che non manifesta i sintomi ma ha avuto un’esposizione ad un caso di Ebola deve comunicare immediatamente tale rischio e sarà sottoposta a sorveglianza, fino ai 21 giorni dall’esposizione, attraverso un periodo di quarantena domiciliare o il ricovero in un reparto di malattie infettive. Chiunque rientri da un viaggio in un’area epidemica compiuto negli ultimi 21 giorni, o abbia avuto negli ultimi 21 giorni un’esposizione ad un caso di Ebola, in caso di comparsa di un qualsiasi sintomo riconducibile alla malattia deve contattare immediatamente una struttura sanitaria. La rete delle emergenze 118 ha in atto protocolli per la gestione e il trasporto in sicurezza del caso sospetto. Nel nostro paese, negli ultimi due mesi sono stati segnalati casi sospetti di MVE da diverse regioni, in base ai criteri indicati da OMS ed ECDC, quali l’insorgenza di alcuni sintomi e la provenienza geografica da aree affette. Tutti questi casi sono poi risultati negativi ai test di laboratorio per virus Ebola. Riguardo le condizioni degli immigrati irregolari provenienti dalle coste africane via mare, la durata di questi viaggi fa sì che persone che si fossero eventualmente imbarcate mentre la malattia era in incubazione manifesterebbero i sintomi durante la navigazione e sarebbero, a prescindere dalla provenienza, valutati per lo stato sanitario prima dello sbarco, come sta avvenendo attraverso l’operazione Mare Nostrum. Certo, potrebbero esserci delle persone che sono state in contatto con ammalati e non aver sviluppato ancora i sintomi. Poi, dobbiamo anche tener conto della diversità degli individui al contagio.
Per questo motivo bisogna non abbassare la guardia, anche quando non ci sarà più una condizione di emergenza.”
“Insomma”, prosegue il professore, “niente panico, ma la massima attenzione. Sapremo sconfiggere, così, anche questo pericolo”.
Lo ringrazio e chiudendo la comunicazione, non posso non pensare al coraggio di tanti uomini e donne che lavorano, rischiando la propria vita volontariamente, per il bene di tutti noi. La notte è calata, chissà come la passeranno i medici e gli infermieri dell’ospedale di Conakry.
Patrizia Bilardello