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15/02/2016 07:03:00

Mafia, riprende processo The Witness. Trapani, il politico accusato di violenze sesssuali

Continua oggi con la deposizione dei testi della difesa il processo scaturito dall'operazione antimafia The Witness, scoccata a Marsala nel marzo del 2015. Nell'ultima udienza l’80enne boss marsalese Antonino Bonafede è stato l’unico imputato del processo scaturito dall’operazione antimafia che in Tribunale ha deciso di rispondere alle domande di giudici e pm. “Non sono mai stato affiliato a Cosa Nostra” ha detto, anche se ha già scontato una condanna per associazione mafiosa. Poi, ha parzialmente smentito i due pentiti palermitani Briguglio e Pulizzi, che hanno raccontato di avere incontrato “due volte” l’anziano “uomo d’onore” marsalese, su incarico del boss Lo Piccolo, al fine di riorganizzare, secondo l’accusa, la locale cosca mafiosa. “Si, è vero – ha detto Bonafede – ho incontrato Briguglio e Pulizzi, ma una volta, non due. Sono stati loro a cercarmi e a fermarmi per strada. Mi hanno detto che li mandava Lo Piccolo per riorganizzare la famiglia, ma io ho risposto che non ero interessato. In carcere avevo conosciuto Calogero Lo Piccolo, ma poi più nessun rapporto”. Per i magistrati della Dda, Antonino Bonafede, ex pastore, avrebbe “ereditato” il bastone del comando in seno alla famiglia mafiosa marsalese dal figlio Natale, in carcere dal gennaio 2003 con una condanna definitiva all’ergastolo. Con lui, sotto processo sono pure Martino Pipitone, di 65, ex impiegato di banca in pensione, anche lui in passato già arrestato per mafia, e il 54enne pastore incensurato Vincenzo Giappone. Dei tre, solo Pipitone, accusato anche di intestazione fittizia di una società ad altra persona, è tornato in libertà. Secondo l’accusa, il nuovo anziano “reggente”, assieme a Giappone “provvedeva alla raccolta del denaro provento di attività illecite, poi conferito al “mandamento mafioso” di Mazara e ai familiari di affiliati detenuti. Giappone sarebbe stato il cassiere della “famiglia” e il “primo collaboratore” di Bonafede senior. Martino Pipitone è definito “esponente di rilievo della consorteria mafiosa marsalese” e avrebbe esercitato la sua “sfera d’influenza nel centro storico”.  Legali degli imputati sono Paolo Paladino, Stefano Venuti, Stefano Pellegrino e Vito Cimiotta.

 

Il politico a processo per violenze sessuali.
Riprende oggi il processo che vede imputato per violenze sessuali ai danni di una minorenne Piero Russo, ex consigliere provinciale (Pdl) 51enne, recentemente candidato a sindaco di Castellammare del Golfo e funzionario del Genio Civile ad Alcamo. Il procedimento si svolge all'interno dell'aula bunker di Trapani, dinanzi al giudice Angelo Pellino ed è alle battute iniziali. L'inchiesta era nata dalle denunce di un giovane – costituitosi parte civile ed assistito dall'avvocato Francesco Caratozzolo - che all'epoca dei fatti contestati aveva 12 anni. Secondo l'ipotesi accusatoria – sostenuta in aula dal pubblico ministero Anna Trinchillo – Russo, approfittando dell'amicizia con una coppia di amici, avrebbe iniziato una relazione con il loro figlio minore. A supporto ci sarebbero intercettazioni telefoniche ed sms scambiati tra i due e nelle prime fasi processuali uno dei legali di Russo (Carmela Lo Bue) ha deciso di ritirarsi dall'incarico. In aula il pm, nell'ultima udienza, ha rinunciato all'audizione di tre testimoni, depositando i verbali raccolti nei mesi scorsi. 

 

Sicilia Acquaviti e l'inquinamento
Nuova udienza del processo per lo smaltimento irregolare alla Sicilia Acquaviti. Il processo avviato davanti al giudice Matteo Giacalone  per traffico illecito di rifiuti vede imputato il 79enne Giuseppe Bianchi, legale rappresentante della distilleria “Sicilia Acquaviti” di Marsala dal 2009 al 2011. A sostenere l’accusa, in qualità di “applicato” alla Dda, è il pm Giulia D’Alessandro.

Nell'ultima udienza è stato il luogotenente della Guardia di finanza Antonio Lubrano, capo della sezione di pg delle Fiamme Gialle della Procura, il primo teste d’accusa ascoltato.  Lubrano ha riferito sulle indagini svolte. Ha parlato, per circa due ore, delle perquisizioni effettuate nell’impianto della Sicilia Acquaviti in contrada Digerbato-Bartolotta, di quanto emerso nel corso dell’indagine e dei riscontri alle dichiarazioni dei quattro ex dipendenti licenziati dell’azienda dalla cui denuncia è scattata l’inchiesta. Tre dei quattro denuncianti (Barraco, Pipitone e Lombardo) erano presenti alla prima udienza, ma non sono stati ascoltati per problemi procedurali all'ultima e potrebbero deporre oggi. Sempre in avvio di processo, l’avvocato difensore Paolo Paladino ha chiesto la derubricazione del reato contestato nel più lieve “gestione di rifiuti in violazione delle prescrizioni del provvedimento di autorizzazione”. Il giudice, però, ha rigettato la richiesta. Altro difensore di Bianchi è l’avvocato Maria Letizia Pipitone, presidente del circolo Marsala-Petrosino di Legambiente. All’imprenditore alla sbarra si contesta l’ “illecito smaltimento di rifiuti di borlande fluite nel sottosuolo, deposito incontrollato di rifiuti di borlande sul suolo e deposito incontrollato di rifiuti liquidi di percolazione”. L’indagine, inizialmente coordinata dal procuratore di Marsala Alberto Di Pisa e dal sostituto Giulia D’Alessandro e poi, per competenza, dalla Dda di Palermo, è stata avviata nel maggio 2013, quando la sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala ebbe notizia del possibile illecito smaltimento di scarti industriali da parte delle distillerie “Ge.Dis”, con stabilimento nei pressi del porto di Marsala, e Sicilia Acquaviti. Disposti i controlli (effettuate anche trivellazioni nel terreno), si accertava che il borlande della Sicilia Acquaviti veniva smaltito illegalmente, con delle tubazioni, sui terreni attorno l’impianto industriale di contrada Digerbato-Bartolotta e nelle vicine cave di tufo, poi ricoperte di terra. E’ stata, inoltre, scoperta una fossa in cui venivano stoccate vinacce esauste con un bacino di contenimento completamente ripieno di acque di lisciviazione/percolato delle stesse vinacce. Nel maggio 2014, l’impianto industriale e terreni limitrofi per 162 mila metri quadrati (di proprietà di ‘’Ge.Dis.’’ e ‘’Pibiemme’’) furono sottoposti a sequestro preventivo. Quattro mesi dopo, smaltita una parte dei contestati reflui, il gup Fernando Sestito accolse la richiesta difensiva di dissequestro dell’azienda. Dall’inchiesta è emerso che pericolosi scarti della distillazione, e in particolare “borlande” (i cui principali componenti sono: propanolo, butanolo, metil-propanolo, pentanolo e altri pentanoli isomeri, nonché furfurale), venivano da tempo sversati, con delle tubazioni, sui terreni circostanti e all’interno di cave di tufo abbandonate, finendo così nel sottosuolo. E ciò a non eccessiva distanza dai pozzi dell’acquedotto comunale di Marsala. I campioni delle sostanze prelevate sono stati analizzati dall’Arpa, che ha confermato ‘’l’illecito smaltimento di borlande, nonché la presenza di rifiuti di liquidi di percolazione delle borlande’’. Si scopriva, inoltre, che la Sicilia Acquaviti non rispettava le prescrizioni del Comune relative all’autorizzazione allo scarico per i reflui industriali, dopo la depurazione, nella fognatura, né era in possesso delle analisi delle acque reflue in uscita dal depuratore e della documentazione attestante lo smaltimento dei fanghi. In tal modo, ha risparmiato non meno di 150 mila euro. Mettendo, però, a serio rischio la salute pubblica. La falda acquifera, infatti, in questo versante del Marsalese è ad appena 25 metri di profondità e il sottosuolo, tufaceo, è molto poroso.