#12 “La stanza delle farfalle” (The butterfly room, 2012, horror, 87’ minuti circa)
Se in Italia c’è un genere che ha percorso, questi ultimi decenni cinematografici, come un prezioso, a volte spaesato ma sempre onesto e generoso, rivolo carsico di idee, immagini e spunti distributivi – ecco! – quello è l’horror. Il ‘film delle grida’, come lo nominava un mio vecchio amico di visioni.
Tanto si sono irrigiditi ed omologati (Argento, Bava) o tanto sono spariti dalla circolazione (Lenzi, Deodato), i padri (e gli zii, facciamo così) della grande tradizione orrorifica nazionale, altrettanto almeno sono nate e si sono avvicendate in metodo sparso, delle nuove leve di autori (spesso rinchiusi e racchiusi dentro confini regionali o, addirittura, territoriali) che hanno tentato di tenere alto il vessillo del ‘sangue, urla & terrore’. Nella stragrande maggioranza dei casi sono stati dei fuochi di paglia, altre volte si sono riciclati in sottogeneri più addolciti, ma in alcuni epigoni hanno dimostrato come ingegno ed impegno – oltre ad una smisurata passione filologica – possono ripagare ancora a questo mondo. O, quanto meno, rendere merito all’intenzione.
Dalla coppia Federico Greco, Roberto Leggio (quasi sufficiente il loro derivativo POV di “Il mistero di Lovercraft”), al ‘mainstream’ dei Manetti Bros e di Federico Zampaglione (artista a tutto tondo, musicista ‘imprestato’ alla settima arte), è stato un non nutritissimo ma essenziale florilegio di tentativi, di abbozzi, di opere finalmente ben definite e lucidamente inserite in un disegno di mercato.
Personalmente inciderei due nomi e due opere, come pietre di paragone del discorso che – molto velocemente, per carità, siamo qui per vederci un film e non certo per discettare di filologia romanza – si vuol condurre sulla vitalità di certi giovani geni del cinema d’orrore italiano; uno è Alex Infascelli, che nel 2006, con pochissimi mezzi e con un parco-attrici di riguardo (Mandala Tayde, Anapola Mushkadiz, Olga Shuvalova), gira su un isolotto all’ombelico di un lago, il problematico e poco compreso “H2odio”. Una prova di coraggio non solo di scrittura (con molti passi falsi, ma qualche buonissima intuizione), di montaggio (idem), ma anche di distribuzione, con la scelta innovativa di appoggiarsi direttamente alle edicole ed alle librerie e saltare a piè pari la ragnatela dell’oligopolio delle sale. In secundis, con risultati artistici stavolta eccellenti, di certo c’è Lorenzo Bianchini (già autore del dialettale e succoso “Lidris cuadrade di tre”, e del più quadrato anche se forse meno frizzante “Custodes bestiae”), che centra racconto, contesto e fascinazione di genere con un film solo, quel “Oltre il guado” vecchio oramai di quattro anni, che lo impone come nome nuovo nel panorama europeo.
Due autori diversissimi, due opere agli antipodi nel giudizio critico, ma due validi tentativi autarchici di risanare un tipo di cinema nazionale, ed ancor prima un ‘sentire’ il modo di girare immagini e storie all’interno del paesaggio e della memoria fisica di questo strampalato paese.
Ma veniamo al titolo che oggi vi regala per la visione Tp24.it, opera di Gionata Zarantonello e film estremamente significativo. Significativo perché girato da un italiano a Los Angeles (la famosa ‘fuga di cervelli’ non riguarda, quindi, solo i vincitori di master universitari), significativo perché riesuma volti vecchi dell’orrore italico (Barbara Steele, indimenticata eroina di molti film ‘basilari’; “L’orribile segreto del Dr. Hitchcock” e “Danza macabra” ad esempio), infine significativo perché riesce a costruire, grazie ad una regia emotivamente composta e ad una struttura classica, fatta di flashback e di flashforward, un grande turbamento d’animo. Lo fa con umiltà ma anche con la consapevolezza delle proprie virtù registiche, non facendo versare alle immagini una sola goccia di sangue, se non quello mestruale della protagonista. Una scelta narrativa e simbolica, allo stesso tempo.
Un film quasi femminista (nel senso matriarcale del termine), che capovolge anche il luogo comune della donna vista come semplice ‘preda’, oggetto di scena e carne da castrare, dell’horror generalista. Niente grumi di frattaglie e squarci di gole e di scena, nemmeno l’ombra di elementi di ‘sopranatura’ che aspergono di mistero e di improbabile la storia narrata; tutto è giocato sulle tensioni in una famiglia disfunzionale, sulle ossessioni della mente umana e sulla depravazione (deprivazione?) del senso dell’ordine delle cose.
A postilla del film di Zarantonello e a chiosare il discorso sulla linfa vitale che i luoghi - la ‘scena del territorio’ –, danno al nuovo sentire dell’horror italiano, vi aggiungo dei link di una recente web serie, frutto del lavoro d’equipe di giovani sceneggiatori e registi che, ancora lontana dal suo compimento, darà di certo frutti nei mesi a seguire coinvolgendo altre realtà territoriali. Speriamo, a questo punto, anche la nostra Sicilia, luogo mitico e sacrificale per eccellenza.
Buona visione, alla prossima domenica ed al prossimo film!
Marco Bagarella
Per vedere il film, cliccate su questo link:
http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-9092ee2c-2685-4e8e-8361-f18143dfdd5d.html
“Innumerevoli ombre”, episodio pugliese:
https://www.youtube.com/watch?v=R8CCz8y-GI8
“Innumerevoli ombre”, episodio friulano:
https://www.youtube.com/watch?v=sWcC7dnJrJw
“Innumerevoli ombre”, episodio umbro:
https://www.youtube.com/watch?v=6UN0LfXy0uw
“Innumerevoli ombre”, episodio veneto:
https://www.youtube.com/watch?v=XDipgkrHB-w