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06/07/2017 06:00:00

Alle "due rocche" di Marsala ci sono i "nivurincioli": finalmente un mare che accoglie

 Grosse novità, quest’anno, nel già variegato panorama antropologico dello scoglio più cosmpolita di Marsala, le "due rocche".                          

Ai pasoliniani di sempre.  Ai marsalesi giunti da tutte le latitudini, per tornare a guizzare, come facevano da bambini, nel mare cristallino delle “Due Rocche”. Ai turisti che, numerosi, calano a tutte le ore del giorno, si sono aggiunti folti gruppi di nivurincioli. Ospiti delle tante comunità per richiedenti asilo, sorte, come funghi in questi ultimi anni, in ogni angolo della nostra città-territorio (per dirla con Buzzi, co-protagonista insieme a Carminati, di “Mafia Capitale”: “l’affare del secolo. Si guadagna di più organizzando i viaggi della speranza delle migliaia di povere anime provenienti dall’Africa sub-sahariana e la loro prima e seconda accoglienza, che non con il commercio di armi e cocaina”).                                                                                                               

Alle “Due Rocche”, arrivano in gruppo, i minori non-accompagnati. E, nei primi giorni silenziosi e guardinghi, sembrano, ora, aver preso coraggio. Sono giovani adulti che dopo l’odissea della traversata dai loro remoti Paesi, gli stenti, i rischi, le sevizie subite, specie dagli aguzzini della caotica Libia, provano un senso di liberazione a potersi bagnare tra le onde del Mediterraneo.                                                                                

Finalmente, non più “cimitero marino”, ma liquido amniotico: che scalda, accoglie, fortifica.                                                              

 E’ vero: fanno caciara, scherzano tra loro, si spingono in mare, si esibiscono in acrobatici tuffi con piegatura, ridono a crepapelle: come accad, del resto,e ai loro coetanei, in ogni parte del pianeta, Marsala compresa.                                                                                   

Ma, in più, hanno la consapevolezza di averla sfangata. Fuggiti da famiglie ridotte in miseria, terrorizzate dalla guerra, senza più casa, senza più cibo, con l’acqua razionata. Famiglie che danno fondo a tutte le loro magre risorse finanziarie, per dar loro un’altra chance. Con la segreta speranza che facciano fortuna all’altro capo del mondo e inviino l’atto di richiamo a chi è rimasto tra i “dannati della terra” per affrancarli.                     

Dopo il rocambolesco viaggio (che può durare anche anni)accolti in comunità – ove, comunque, anche nella nostra città, trovano lavoro centinaia di operatori – curano le loro (reali o metaforiche) cicatrici, facendo le tipiche cose da adolescenti: giocano, esultano, si sfottono, si spingono in mare, ci sguazzano dentro.   Ancora increduli di poter  condurre una vita quasi normale.                                                                                       

In attesa di un visto d’ingresso, di un permesso di soggiorno che ne regolarizzi la condizione.                                                                                            

Ciononostante – complice un’ ”informazione canaglia” e una politica irresponsabile che, sulle paure della gente, ci marciano: per vendere più copie, avere più like o raccattare più voti –nei loro confronti, da tempo, si percepisce una sorta di “sentimento contrario”. Che nega in radice (come insegnava il compianto Stefano Rodotà) il loro “diritto ad avere diritti”, la loro legittima aspirazione ad “un’esistenza libera e dignitosa”.                                                                                             

Si amplificano episodi, di per sé irrilevanti. Se ne inventano altri, di sana pianta.                                                          

Si raccontano vicende mai accadute, spacciandole per verità rivelate.  Qualche esempio?                                                                                           

Qualche giorno fa,sullo “scoglio solidale”,arriva,trafelato, un abituale frequentatore: “Ohè, viriti ca “Loggia” scer’a dire chi, ‘e “Ru Rocchi”, una comaicca ri nivurincioli si misiru cà sciolla ri fora e tutti i chistiani, fimmini ‘ntesta, si nna ppar’a scappari ri cuissa!”. Oppure:  “Picciò, ma veru è c’un tuiccu si misi a pisciari r’arrè ‘i scali e una picciutteddra s’innaddunau e ‘ u rimproverau? Veru è chi, a ddru puntu, ‘i nivuri ci nni rissiru quantu cincheddra, sciorinando tutti gli insulti ‘nsicilianu strittu chi s’annu ‘nsignatu, di quant’avi chi su  ccà, a Marsala?” O, ancora: “Mi rissiru chi, ‘sti tuicchi, vivinu birra a tutta foizza e, poi, eccanu i buttighhi a mezz’ i scogghi, unni ci veni pima!”. Quasi quotidianamente frequento il sito, con non pochi altri, amici e conoscenti: mai abbiamo assistito ad episodi del genere!Tant’è che,Stefano,chi veni ogni gghiouinnu, ad un certo punto, è sbottato: ”Ma, com’è chi tutti ‘sti ‘ran cosi tinti, succerinu sempi quannu niatri ’un ci semu?”.                                 

Ora, che le Politiche sull’Immigrazione debbano essere radicalmente riviste, è scontato.                                           

Ma, ad onor del vero, se c’è un settore in cui, chi scrive, non può che lodare l’attuale Governo, è questo.             

E’ l’Europa,semmai,a doversi dare una mossa, per disciplinare il fenomeno, invece di girarsi dall’altra parte. Pena: il montare allarmante della rabbia nei confronti ri tuicchi. L’invelenirsi graduale del clima, già oggi non certo benevolo. L’aumentare a dismisura delle lamentele, dei rimbrotti, delle invettive dei penultimi – nutriti di fake news e privi di strumenti d’analisi – nei confronti degli ultimi.                                                                                                               

Giunti fin qui, convinti di essere approdati nell’Eldorado e ritrovatisi, al contrario, a dover fare i conti con comunità che, esasperate dalla crisi economica e da false informazioni, rischiano una mutazione genetica. Di trasformare la proverbiale ospitalità dei siciliani, in atteggiamenti in cui l’indifferenza s’intreccia con l’aggressività, se non addirittura con il disprezzo. Nei confronti di malcapitati ragazzini, colpevoli soltanto di non arrendersi ad un destino impastato di guerra e miseria (peraltro, la stessa da cui, fin dai primi del ‘900, scappavano i nostri bisnonni, per approdare dall’altra parte dell’Atlantico).                                                                                     

G. Nino Rosolia