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13/01/2018 06:00:00

Salemi. A 50 anni dal sisma, storia della ricostruzione di una città e del suo Parco

Il Parco Urbano, questo sconosciuto. Pochissimi ne conoscono l'esistenza. In provincia, come nella stessa città di Salemi.

I dodici ettari di bosco, che si trovano a cavallo tra l'antico e il nuovo paese, per tantissimi e' solo la montagnola, dove tra gli alberi, si "nasconde" la caserma dei forestali: un arioso fabbricato insistente su un' area di duemila metri quadrati circa, a cui rivolgersi, al massimo, per prenotare  legna da ardere. Attività però interrotta da qualche anno.

Eppure non tutti i paesi della Regione siciliana possono vantare di possedere all'interno del perimetro urbano un notevole polmone verde, una macchia sempreverde, un'area ricca di vegetazione di vario genere, con piante che, assorbendo  anidride carbonica dall'atmosfera e liberando ossigeno, rappresenta l'ideale per assolvere agli scopi per i quali e' stata ideata, realizzata e in parte conservata.

Doveva essere il Parco Urbano della Città di Salemi.  Fatto più unico che raro, per una cittadina del profondo Sud e non solo, ma che non ha mai assolto interamente a questo ruolo.

L'intenzione del committente era  di destinare una vasta area salubre al gioco dei bambini, alle passeggiate degli anziani, al trekking di giovani e meno giovani, per  delle buone letture o per una salutare meditazione, ma anche più prosaicamente, per consumarvi un picnic, una rosticciata durante una gita di gruppo.

Per la sua progettazione  fu chiamato un architetto molto noto.

Una storia emblematica, quella di questo Parco Urbano, realizzato a metà!

Come tante nella vicenda della Ricostruzione della Valle del Belice.

La racconteremo  attenendoci ai fatti, lontani da ogni retorica che puntualmente ogni anno hanno contrassegnato le 49 commemorazioni del terremoto del 1968 celebrate fino ad oggi. 

Non osiamo immaginare le parole che verranno ritualmente sprecate ancora una volta per l'imminente cinquantenario del prossimo 15 gennaio.

Per capire meglio, occorre fare un lungo passo indietro nel tempo. Quando cioè, nel 1987  venne approvata la famosa legge nazionale numero 120.

Questa legge, sanciva un passaggio fondamentale. Segnava uno spartiacqua di qualità dalle conseguenze facilmente prevedibili.

Dal risarcimento statale erogato per i danni subiti dal terremoto al nucleo familiare, previsto fino ad allora dalla precedente legge numero 178 del 1976, si transitava ad un regime che prevedeva un finanziamento per la ricostruzione dell' intero patrimonio immobiliare del richiedente.

Dalla logica di assicurare un tetto a tutte le famiglie in maniera egualitaria, si passava a quella di risarcire il danno subito senza porre limiti economici.

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Atto propedeutico imprescindibile per ottenere il finanziamento diventava la famosa o famigerata ( a seconda dei casi) domanda avanzata dal proprietario degli immobili nell'anno di Grazia del 1968. Senza questo benedetto o maledetto (a seconda dei casi) documento, tutto restava nel limbo ( pratiche giacenti, in attesa di...).

In altri termini, ai cittadini che avessero subito danni strutturali  alla loro casa, compreso  magazzini, la stalla, catoio,  e l'avessero reso noto alle autorità competenti (Comune o Genio Civile) nel 1968 veniva attestato il diritto a ricostruire l'intero patrimonio immobiliare ( ripetiamo:  non solo la prima unità immobiliare, come era prima) di cui erano in possesso o proprietari nel periodo antecedente al sisma.

Una grande conquista, fu detto in un coro quasi unanime. 

 Il tutto ammantato dallo scopo nobile di volere recuperare integralmente i centri storici danneggiati.

Peccato però che in realtà, come quella di Salemi, si ebbe un risultato opposto.

Chi la contestò sosteneva che con la nuova legge, oggettivamente, non solo si veniva a creare un'autentica discriminazione, dividendo le città in cittadini di serie A e di serie B, ma si dava anche la stura ad una lunga serie di speculazioni edilizie "legalizzate".

Un giudizio etico e non in punta di diritto.

In pratica, la legge si prestò a ogni sorta di operazioni, alcune delle quali poco limpide e spesso sul filo del rasoio della legittimità.

Come anche  la fortuna di uffici tecnici che operavano  in tutti comuni, spesso in regime di monopolio.

Dando più ampi poteri ai Comuni, attraverso le Commissioni straordinarie,  oltre ad accelerare la ricostruzione delle nuove abitazioni,  parallelamente si apriva la caccia ai fabbricati di estinti o di chi era emigrato in terre lontane.

Spesso pagati a prezzo di saldo.  

Ma la "caccia"  era diretta anche verso la famosa famigerata "domandina del '6 (così nel gergo popolaresco).

Si  consumava un'autentica "rivoluzione"  edilizia con tanto di timbri e carte bollate, come del resto tutte le rivoluzioni in terra di Sicilia.

Un boom non solo edilizio, ma anche nuovo assetto urbanistico di fatto.

Si dava infatti la possibilità di utilizzare il sussidio statale per "ricostruire" ex-novo (scusate l'ossimoro) in altre aree, anche distanti dal Centro storico.

Iniziava cosi la scalata alle ridenti e lussureggianti colline, fino ad allora  dimora abituale di contadini o al massima località di villeggiatura di artigiani e ceto medio.

Cominciarono a spuntare come funghi, spesso l'uno accanto all'altro, fabbricati con soggiorni da 100mq, con tinelli da osterie, con scale esterne improbabili, con cancelli stile casseforti e con l'immancabile sentiero adorno di orrende ringhiere, di mattoni falso rustico, lampioncini e con aiole in stile villa-al- mare o baita-di montagna.

E mentre le colline venivano aggredite e deturpate dal kitsch e dal cattivo gusto programmato, consumato sull'altare del finanziamento pubblico, in contemporanea  e progressivamente si svuotava e si desertificava uno dei più pregevoli, animati e popolosi centri storici della provincia.

Altro che lacrime di coccodrillo copiosamente versate e le geremiadi ostentate ad ogni campagna elettorale.

Non c'e' stato candidato sindaco che non abbia messo nel proprio programma elettorale il "recupero del Centro Storico" . Persino oggi a piene mani anche sui social trovi sempre qualcuno che si diletta su questo sport. Ognuno ha pronta una ricetta.  Persino la bufala delle Case ad un 1 Euro portata avanti per un biennio, senza che si fosse provveduto agli atti urbanistici propedeutici!

Ma ritorniamo al nostro racconto.

E' bene ricordare che quelli erano anche i tempi in cui si pensava in grande.

Anche se inferiori rispetto al Friuli, i finanziamenti non erano modesti e non era tempo di vacche magre come quello attuale.

E cosi, se Ludovico Corrao a Gibellina metteva in moto la "sua" città d'arte, la "laboriosa" Santa Ninfa, in un clima politico di collaborazione voluta dal palermitano andreottiano Salvo Lima, si dedicava alla costruzione di Ospedali, case popolari, e centri artigianali, servendosi del braccio operativo di una grande cooperativa in grado di competere con grandi imprese, Salemi, dal canto suo non se ne stava affacciata alla finestra.

La Legge 120  non era forse stata varata grazie alla sinergia tra l'allora andreottiano Peppino Cascio sindaco di Salemi e il comunista migliorista Pippo Montalbano, sindaco di Sambuca di Sicilia?

Coniugando arte, ambiente e cemento armato, Salemi portò a termine il lavoro lasciato a metà dal terremoto .

 Auri sacra fames, miserabile cupidigia dell'oro, avrebbe detto il grande Virgilio a questo punto!.

Dal crollo della Chiesa Madre, non per la violenza della natura ma delle empie ruspe dell'uomo,  alle grigie colonne di un osceno viadotto, dalla spasmodica ricerca di cave, alla scellerata collocazione del  nuovo centro, dalla costruzione di ignobili case popolari, al rinvio alle kalende greche di un Piano Regolatore, tutto o quasi tutto, all'insegna del famoso verso virgiliano

Come risarcimento di cotanto scempio, si scelse una bizzarra via dell'arte.

Architetti di fama mondiale furono reclutati allo scopo.

E se per il recupero parziale della Vecchia Matrice si pensò all'architetto portoghese Alvaro Siza, come contrappasso all'imponente colata cementizia del viadotto, si coinvolse il ben noto architetto Vittorio Gregotti per dare un polmone verde alla città, come  per il Teatro del Carmine  vennero scritturati il trio di architetti Francesco Venezia, Roberto Collovà e Marcella Aprile. Oppure la sistemazione di vicolo Stella nei pressi della cosiddetta vanedda di lu ’ferno.

Tempo di vacche grasse, abbiamo detto. E tempi gloriosi in cui per la progettazione di grande parco  in  un concorso a inviti parteciparono fior di architetti quali Vittorio Gregotti, Paolo Portoghesi, Alvaro Siza Vieira, Mathias Ungers.

Avrebbe dovuto essere la cerniera di connessione tra la vetta e il nuovo quartiere a valle.

A vincere il certame  fu il Gregotti.

Il quale progettò  un Parco Urbano che, per dimensioni  e collocazione, sarebbe stato e rimane unico nella provincia di Trapani e nell'Isola .

Il progetto prevedeva un' imponente scalinata che iniziasse dalla via Marsala e scendesse verso la valle attraversando la fitta vegetazione di alberi, cespugli e macchie.

Poi il ridimensionamento.

Ma anche l'abbandono. Fino all'avvento dei Commissari, dopo lo scioglimento per Mafia del Comune.

Epoca in cui, era il 4 febbraio del 2014,  viene sottoscritta una convenzione  tra il Comune di Salemi e l'Azienda Foreste Demaniali, tra il prefetto Benedetto Basile da una parte e l'ingegnere Maurizio Oddo dall'altra.

La Convenzione con validità decennale, tra l'altro, prevede che l'azienda Forestale si occupi della gestione e amministrazione del bosco, in rispetto delle norme che tutelano i beni ambientali, al fine di migliorarlo e valorizzarlo  con interventi selviculturali mirati alla conservazione e FRUIZIONE . 

Più precisamente, l'art 5 bis della Convenzione prevede che sia consentito a TUTTI I CITTADINI di usufruire del bene per: passeggiate, gite, escursioni, manifestazioni forestale e ambientaliste.

Si può asserire in tutta onestà che la convenzione dopo tre anni sia stata rispetta?

Per la parte che prevede la manutenzione, la risposta e senz'altro positiva.

Mentre per quanto riguarda l'aspetto della fruizione, c'e' tanto ancora da fare.

A cominciare dalla fogna a cielo aperto che in alcune ore della giornata ammorba l'aria circostante. Per non parlare della messa in sicurezza di cui avrebbe bisogno il canalone di gronda in cemento armato inspiegabilmente ( ma non tanto) sbriciolatosi come fosse di burro.

Ma si potrebbe attingere ai finanziamenti del P S R (Programma di Sviluppo Rurale) Sicilia anno 2014- 2020 misura 8.

E qui rientrerebbe in campo prepotentemente l'azione politica dell'Amministrazione Comunale.

Ottenere un finanziamento per rendere il Parco finalmente fruibile da parte dei cittadini salemitani ma anche di altri paesi sarebbe davvero un opera rivoluzionaria da scrivere agli annali della storia cittadina.

Interventi mirati alla installazione, ad esempio, di barbacues, panchine e tavoli, alla definizione di un chiaro percorso pedonabile e/o pista ciclabile fornendolo di panchine.

L'elenco sarebbe lungo. Ci limitiamo a segnalarne solo alcuni.

Ad esempio, l'adeguamento di servizi ai portatori di handicap, l' illuminazione, la creazione di fontanelle, il ripristino del  laghetto, l'apertura di una accesso dalla via Marsala ( come era previsto dal progetto originario),  l'installazione di servizi igienici, la creazione di un parco giochi.

La rivalutazione di questa vasta area sarebbe un risarcimento anche morale per una comunita' che, attonita e inerme, in tutti questi anni, ha assistito al declino della città.

Lo proponiamo sommessamente al sindaco Domenico Venuti, che sappiamo essere molto sensibile alle questioni ambientali e alla rivalutazione del lussureggiante patrimonio boschivo ancora presente sul territorio di Salemi, dopo il crimine consumato ai danni del Monte Polizo.

Lo merita Salemi.

Non la descrive Consolo come un "luogo di delizie, dove tre fanciulle, tre grazie brune, all'ombra ventilata di una chiara tenda, stavano a ricamare e sfilare il lino disposto sui telai"?

Franco Ciro Lo Re