Sono quasi duecento, tra ex dipendenti ed ex corsisti dell’Anfe, a chiedersi di potersi costituire parte civile nel processo che, davanti al giudice monocratico di Trapani Fabio Oreste Marroccoli, vede imputati, per truffa aggravata alla Regione e all’Unione Europea, l’ex presidente nazionale e regionale dell’Anfe, il salemitano Paolo Genco, di 63 anni, Aloisia Miceli, di 56, di Monreale, direttore amministrativo dell’ente di formazione, Rosario Di Francesco, mazarese, di 54, direttore della Logistica e delle Attrezzature, e Paola Tiziana Monachella, di 48, responsabile dell'Anfe di Castelvetrano.
A rappresentare ex dipendenti rimasti senza lavoro ed ex corsisti che non hanno potuto concludere il loro percorso di formazione sono una ventina di avvocati di varie province siciliane (Trapani, Palermo, Messina), tra i quali Natale Pietrafitta, Cettina Coppola, Donatella Buscaino, Ernesto Leone, Antonino Gucciardo, Giorgia Cerami, Marco Lo Giudice e Giovanni Villareal.
Il gup Cavasino aveva già ammesso 80 parti civili. Il 21 febbraio, il giudice Marroccoli si pronuncerà sulle richieste avanzate adesso. “Se l’Anfe non avesse truffato la Regione – sostengono le parti civili - quest'ultima avrebbe continuato ad erogare i fondi e i lavoratori avrebbero continuato a lavorare presso l'Ente”. A difendere Paolo Genco è l’avvocato palermitano Massimo Motisi. Altro protagonista della vicenda è l'imprenditore Baldassare Di Giovanni, 59 anni, palermitano, titolare della “General Informatica Centro”. Per lui è stato disposto stralcio e giudizio immediato. Anche Di Giovanni, seppur a parte, viene processato davanti al giudice Marroccoli. Secondo il Nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza (operazione “Dirty training”), Paolo Genco, agli arresti domiciliari da gennaio a marzo 2017, avrebbe lucrato sugli ingenti finanziamenti destinati alla formazione professionale, attraverso tutta una serie di fatture false che avrebbero documentato spese in realtà mai sostenute. L’ammontare della truffa contestata dalla Procura di Trapani ammonterebbe a 53 milioni di euro: somme che l’Anfe ha ottenuto da Regione e Ue tra il 2010 e il 2013. L'indagine è sfociata nel sequestro di 41 beni immobili. Le fatture sarebbero state emesse da Di Giovanni per la “General Informatic Center”, una ditta di materiale informatico che, secondo gli inquirenti, figurava scelta dopo un'indagine di mercato anch’essa falsificata.