Fabrizio Frizzi stava male, aveva un tumore al cervello. Alternava la speranza di farcela alla consapevolezza di non riuscire ad arrivare all'estate, così come è stato. E' quello che emerge incrociando il racconto degli amici in queste ore, mentre la camera ardente alla Rai di Viale Mazzini viene visitata in queste ore da migliaia di persone.
Nell’ultima intervista rilasciata al Corriere della Sera il 25 gennaio, Fabrizio diceva:
“Ho avuto spesso la fortuna di essere molto vicino alla gente: a 40 anni ho avuto il privilegio di poter donare midollo osseo a una persona salvandogli la vita. E quando a ottobre mi sono trovato in ospedale con tanti malati, ho avuto la fortuna di sentirmi confortato dal loro affetto, mi hanno fatto forza. […] Ora devo essere attento soprattutto per mia moglie e mia figlia: lotto per continuare a veder crescere la mia creatura, per esserle d’aiuto e un punto di riferimento”.
Frizzi parlava della malattia con cautela mantenendo sempre una certa discrezione, lui stesso aveva dichiarato che non era ancora finita e che se fosse guarito avrebbe raccontato tutto nei dettagli, volendo anche diventare testimone della ricerca.
Il conduttore televisivo più amato dagli italiani era consapevole di essere affetto da una malattia che aveva coinvolto il suo cervello e che il suo non era stato soltanto un accidente vascolare, perché quella "ischemia" che lui stesso aveva raccontato era stata invece solo il primo campanello di allarme di una patologia che non era stata operata, ma che aveva segnato i presupposti della sindrome neurologica che lo ha condotto all' emorragia fatale.
Scrive Melania Rizzoli su Libero:
"Fabrizio Frizzi in questi mesi di fatica fisica e psicologica, tra esami, cure quotidiane radioterapiche e chemioterapiche, effetti collaterali evidenti, controlli e riabilitazione, non si è però sottratto a vivere la vita, a continuare a lavorare in televisione, consapevole di condurre una «battaglia non facile», come lui stesso ha definito il percorso della sua patologia, nella speranza di poter vincere la sua guerra personale, come ha più volte dichiarato.
Purtroppo non è andata così, ma il suo esempio sarà di aiuto ai tanti malati che si trovano nella sua stessa condizione, che hanno la sua stessa voglia di vivere e di combattere, che non si arrendono, e che non si lasciano abbattere dalla sua morte, perché sperano di essere più fortunati di lui. E perché anche nelle gravi malattie, qualunque sia il loro percorso, terapeutico e patologico, un pizzico di fortuna ci vuole, e a volte può cambiare addirittura la prognosi".