E’ stata una querela in più (che in primo grado non risultava essere presentata) a causare l’aumento di pena (da 9 anni a 9 anni e mezzo di carcere) che la terza sezione della Corte d’appello di Palermo ha inflitto a Giuseppe Maurizio Spanò, 55 anni, infermiere marsalese, processato con l’accusa di avere commesso violenze sessuali su pazienti sedati per dolorosi esami diagnostici (gastroscopie, colonscopie, etc.).
Teatro dei fatti contestati: lo studio medico privato di via Sanità, a Marsala, del noto gastroenterologo Giuseppe Milazzo, presidente nazionale dell’Aigo. Il processo a Spanò è nato dalla riunione di due procedimenti. Quello relativo alla prima denuncia sporta da una donna che si risvegliò dalla sedazione prima del previsto e quello avviato per i sei casi di abusi filmati dalle telecamere poi installate dai carabinieri, che il 15 marzo 2016 hanno posto l’infermiere agli arresti domiciliari. Tra le vittime anche un uomo. Si aggiunsero, poi, diverse altre querele. Tanto che il pm Silvia Facciotti, il 5 aprile 2017, aveva invocato la condanna di Spanò a 13 anni di carcere. In primo grado, due periti nominati dal giudice Alcamo, il medico-psichiatra Gaetano Gurgone e la psicoterapeuta Francesca Lombardi, avevano spiegato che l’infermiere, quando agiva, “era assolutamente in grado di intendere e di volere”. E anche a Palermo altre perizie hanno confermato la capacità di intendere e di volere dell’infermiere, che all’ospedale “Borsellino” era considerato uno dei più capaci. La difesa (avvocati Stefano Pellegrino e Marco Siragusa) puntava, infatti, sulla “parziale” incapacità di intendere e volere dell’imputato. Ciò sulla base di una consulenza di parte redatta dallo psichiatra Giuseppe Sartori e dalla psicologa Silvia Spanò. Sia il giudice Alcamo che la Corte d’appello, però, hanno escluso il “vizio parziale di mente”. Confermato, quindi, l’impianto dell’accusa. Come invocato anche dai legali di parte civile: gli avvocati Ignazio Bilardello, Vincenzo Forti e Calogera Falco. Nel corso del processo, è venuto fuori pure che sul telefono cellulare di Spanò, nonché nel cluster del computer del dottor Milazzo in uso anche all’infermiere (“Io non so usare il computer” avrebbe detto il medico agli inquirenti), c’erano foto e video relativi ad altre violenze sessuali, complete, su pazienti sedati risalenti addirittura al 2015 e al 2012. O comunque, che sarebbero state “salvate” in quegli anni. Questo, per l’accusa, dimostra, oltre alla “reiterazione” del reato, anche la “premeditazione e la lucidità” dello Spanò. E quando, nel febbraio 2016, i carabinieri perquisirono lo studio medico di Milazzo, trovarono una microcamera installata nel bagno della sala Endoscopie in cui lavorava Spanò, che avrebbe, quindi, filmato i pazienti mentre si spogliavano prima dell’esame diagnostico.