Nell’ampio salone del Circolo Culturale “Giuseppe Pedone” di Salemi, sabato due febbraio, e’ stata ricordata la figura politica ed umana del marsalese Vero Felice Monti, alla presenza di un attento uditorio composto, oltre che da cittadini salemitani, anche da gente venuta dalla provincia.
Ad organizzare l’evento i dirigenti del “Centro Studi V.F.Monti” di Salemi, in occasione del centenario della sua nascita dell’ex sindaco della cittadina normanna.
La moglie Maria Stella Incandela, il figlio Leonida e la nuora Lina dalla lontana Bologna, dove risiedono, hanno inviato un messaggio letto da Leonardo Timpone e che integralmente trascriviamo “ Vero Felice Monti appartiene a quella folta schiera di italiani, dei tanti siciliani che hanno scritto una gloriosa pagina della nostra storia nazionale recente, per sconfiggere il nazi-fascismo, operando, nel contempo, in un processo di fondazione e di crescita della nostra democrazia e per la conquista di quella Bibbia laica che é la nostra Costituzione repubblicana".
Dopo l’introduzione di Giuseppe Amante, numerosi gli interventi, tra cui quelli di Rosalia Fiorello, e Silvio Spisso. Tutti rievocando aneddoti e ricordi personali su Monti, che, come si ricorderà, fu sindaco di Salemi in due periodi diversi. La prima volta nella metà degli anni ’50, e la seconda nel 1966.
Ha concluso l’incontro il presidente provinciale dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) Aldo Virzì mettendo l’accento soprattutto su Monti comandante partigiano.
Non potendolo sconfiggere sul piano politico, il sindaco di Salemi Vero Felice Monti fu sottoposto, fin dal suo insediamento, ad ogni tipo di attacchi, che nulla avevano a che fare con una normale e corretta opposizione.
L’obiettivo che si erano posti i potentati della città era uno solo.
Esautorarlo dalla carica al più presto possibile. Ricorrendo ad accuse pretestuose, spesso con la complicità di talune autorità istituzionali, che avrebbero dovuto tenere, quanto meno, un profilo neutrale, ma che invece si dimostravano disponibili ad una solerte quanto sospettosa applicazione di alcuni articoli di legge di pubblica sicurezza.
Alcuni mesi fa (https://www.tp24.it/2018/12/06/ieri-e-oggi/vero-felice-monti-marsalese-amati-sindaci-salemi/127767) avevamo parlato dell’infamante accusa dell’appropriazione del famigerato “litro di benzina” e del conseguente rinvio a giudizio.
Poco conta se dall’accusa venne poi assolto per “non avere commesso il fatto”. La sentenza giunse tardi. Quando, ormai, il misfatto aveva avuto i suoi effetti nefasti e quando non era più il primo cittadino.
“Occupazione” del feudo Fontana Bianca dei Lanza Filingeri
Proseguendo il nostro racconto, oggi rievochiamo un’altra vicenda, che riteniamo emblematica per confermare quanto da noi fin qui sostenuto.
Questa volta però Monti non e’ il solo ad essere oggetto d’indagine e successivo processo.
A fargli compagnia ci sono il segretario della locale Camera del Lavoro, Antonino Maniscalco, e un funzionario della Cgil di Trapani, il geometra Vittorio Burzilleri.
Un attacco concentrico a tutto l’apparato politico e sindacale che orbitava attorno al partito comunista dell’epoca.
I ritardi della Riforma Agraria
A questo punto occorre fare un passo indietro.
Fontana Bianca, un nome solo in apparenza poetico, era uno dei feudi appartenenti ai Lanza Filingeri, una delle più antiche famiglie patrizie dell’isola, oggetto di scorporo, con un decreto dell’agosto del 1954, i cui lotti erano stati sorteggiati e pronti per essere consegnati ai contadini aventi diritto.
Ma la consegna ufficiale stranamente tardava.
L’ex feudo apparteneva ad una Silvia Filingeri, residente nella piazza Bologni di Palermo, nota in tutto il mondo per la statua di Carlo V che la domina e per i palazzi patrizi che la racchiudono.
Si estendeva per oltre 100 ettari, fino a lambire alcune frazioni del paese. Il governo regionale si era impegnato a consegnarlo entro la fine del mese di ottobre, giusto in tempo per dare la possibilità ai coltivatori di predisporre i terreni alla coltura per l’avvio dell’annata agraria incombente.
D’altro canto anche alla vecchia proprietà era stata inibita ogni tipo di intervento. Era nella logica delle cose pratiche. Ma il rischio che i terreni rimanessero incolti era altissimo.
Ma cosa ne potevano sapere di agricoltura i burocrati di Palazzo dei Normanni? Di nuove assunzioni, certamente si!
Per esse si procedette con celerità e per chiamata diretta. I dipendenti dell’ERAS, l’Ente regionale preposto all’attuazione della riforma agraria, in pochi mesi si moltiplicarono a dismisura, passando dagli originari duecento a quasi tremila. Altro che miracolo dei pani e dei pesci!
Nasceva cosi uno dei tanti "carrozzoni" regionali munito di un esercito di funzionari, tutti in servizio permanente effettivo al solo fine di mediare tra le istanze dei contadini e l’Ente erogatore di servizi, sussidi e prestiti agevolati.
Il tutto elargito sotto forma clientelare e non come diritto.
Nasceva cosi una nuova figura politica, dislocata nelle varie sedi comunali dell’Ente. La cui funzione era quella di rastrellare voti ad ogni scadenza elettorale per sé stessi o per conto terzi.
Questi signori, mantenuti con soldi pubblici, godevano di un incredibile privilegio. Non erano tenuti a stare in ufficio al pari degli altri impiegati, e disponevano di un consistente pacchetto di voti utilizzato, di volta in volta, a condizionare maggioranze nei consigli comunali, ad eleggere sindaci e deputati.
Qualcuno di questi politicanti contribuì a creare non poche difficoltà all’attività’ amministrativa di Monti.
Monti, assieme ad altri due, denunciato
L’ansia degli assegnatari, in prossimità della scadenza, si tagliava a fette. Solo chi conosce a fondo l’animo dei contadini può capire cosa provassero in quei giorni. Si intravedeva lo spettro di una annata agraria persa per colpa della burocrazia.
Nulla di eversivo, quindi, se un gruppo di 50 persone, la mattina del 20 ottobre del 1954, si recano in prossimità dei terreni scorporati per rammentare e sollecitare l’impegno del governo regionale.
E magari lo fanno a cavallo di muli ( unico mezzo di trasporto in loro possesso) e magari anche sventolando due bandiere rosse del sindacato e un tricolore dello Stato italiano repubblicano.
Chiamiamola pure occupazione simbolica di un terreno che ormai appartiene a loro, mancando solo la cerimonia ufficiale della consegna. Chi si trova in difetto non sono certamente i contadini, ma chi avrebbe già da tempo consegnato i terreni.
Ma erano tempi bui, quelli di cui stiamo parlando! Non erano forse i tempi del maccartismo, che il governo Scelba-Saragat del periodo avrebbero voluto instaurare in Italia?
Accadde cosi che il sindaco Monti, il segretario della Camera del Lavoro Maniscalco e Burzilleri della Cgil di Trapani, dopo 4 giorni, il 24 ottobre per la precisione, vengano denunciati all’Autorità’ Giudiziaria dal comandante della Stazione dei Carabinieri di Salemi, il maresciallo capo Calogero Di Grado.
Per quali motivi? Udite, udite! “Per avere organizzato nella mattinata del 20 dello stesso mese una “manifestazione tendente all’occupazione dell’ex feudo “Fontana Bianca”, in violazione dell’art.18 del T.U. della legge di Pubblica Sicurezza.”
Nel rapporto di polizia, seppure con qualche svarione grammaticale (“obiezzione” con due “z” ) e logico ( il numero dei contadini viene indicato con 55 “circa”, se i numeri non sono un’opinione, soprattutto quando si tratta di persone, contandoci, non si e’ mai “circa”), viene ricostruita la dinamica dei fatti accaduti nelle prime ore di quella giornata.
Monti esonerato da Prefetto dalla carica di sindaco
Dopo appena tre giorni, con encomiabile sollecitudine e solerzia (occorreva mostrare subito uno scalpo al Ministro degli Interni, a quanto pare. E’ bene ricordare che in Italia non abbiamo avuto solo Salvini), il prefetto di Trapani (si era insediato da pochissimo) inaugura la sua attività con un atto, giudicato dall’Unita’ di allora, di “aperta ostilità contro una delle più democratiche amministrazioni della provincia”.
Il Prefetto Correra, prendendo per buono il rapporto dei carabinieri, decreta il 27 ottobre, la sospensione per due mesi di Vero Felice Monti dalle funzioni di sindaco di Salemi.
Motivo? Avere autorizzato una manifestazione che aveva lo scopo di “tentare” (sic!) occupare le terre dell’ex feudo di Fontana Bianca. Un tentativo, quindi.
Singolare il fatto che il Giornale di Sicilia abbia pubblicato la notizia il 27 ottobre, lo stesso giorno riportato nell’atto prefettizio. Potenza di un quotidiano!
Secondo rapporto dei carabinieri
Ma a quanto pare in quel primo rapporto di polizia qualcosa non quadrava, forse appariva non sufficientemente idoneo per ottenere una severa condanna o per altri motivi che ci sfuggono.
Fatto sta, che ne fu stilato un altro. Avvenne dopo meno di due mesi. Per la precisione il 15 dicembre dello stesso anno.
Leggendo questo nuovo rapporto veniamo a sapere che i militari erano venuti a conoscenza della manifestazione “a mezzo confidente”. Nulla di nuovo, si direbbe.
Che i “ 55 circa” contadini erano in verità “un folto gruppo” e, infine, che, nella stessa mattinata, dal maresciallo Di Grado “il sindaco Monti era stato notato verso le 7.30 sull’ autovettura di autonoleggio da rimessa di Angelo Salvatore, nel mentre lasciava l’abitato” per essere condotto verso la zona “incriminata”.
Era stato lo stesso noleggiatore a confermarlo successivamente, scrivono, aggiungendo che il sindaco era stato condotto a Fontana Bianca, da dove aveva fatto ritorno in paese dopo avere parlato ai contadini per non oltre 15 minuti.
Il Processo
Il 15 aprile del 1955 davanti al Pretore di Salemi avvocato Giuseppe Corleo ha inizio il dibattimento della causa che vede imputati Vero Felice Monti, Antonino Maniscalco e Vittorio Burzilleri.
Debbono difendersi da due accuse: avere promosso una riunione di numerose persone in luogo aperto al pubblico ed ivi preso la parola senza avere dato preventivo avviso alla Questura di Trapani e per avere compiuto una manifestazione sediziosa. Sono difesi dall’avvocato Antonino Marino di Trapani.
Ovviamente tutti e tre si dichiarano non colpevoli per non avere commesso il fatto. Monti conferma di essere andato sul posto giusto per rendersi conto di cosa stesse succedendo. Era suo dovere, in qualità di primo cittadino, tenersi informato, come era solito fare sempre. E in effetti, diciamo noi, il sindaco Monti rimane nella memoria dei salemitani per essere sempre presente in ogni angolo del paese.
Dal canto suo il geometra Burzilleri conferma quanto dichiarato ai carabinieri e cioè di essersi recato a Fontana Bianca perché invitato dal presidente della Cooperativa Agricola di Salemi Pietro Montalto per una consulenza professionale.
Tutti i testimoni chiamati dalla difesa confermano quanto dichiarato dal tecnico Burzilleri. La riunione aveva solo lo scopo di valutare pregi e difetti dei terreni scorporati, la loro qualità e produttività.
Quanto alle bandiere, considerate elemento di sedizione se avessero sventolato, alcuni affermarono di non averle viste, ma altri, pur ammettendone l’esistenza, assicuravano che esse non garrivano al vento ma rimasero per tutto il tempo melanconicamente avvolte all’asta.
Persino l’autonoleggiatore lo confermava: nessuna bandiera e nessun clamore o grida di giubilo all’arrivo del sindaco. Alcuni erano intenti a mangiare pane olive e formaggio nei pressi di un casolare.
Quanto al maresciallo e i suoi subordinati, confermando i rapporti, confermavano clamorosamente di non avere sentito grida ne’ di giubilo ne’ minacciose e non avere visto “sventolio di bandiere, perché la natura dei luoghi non lo consente” e poi, dopo una pausa, “ ho visto un gruppo di persone attorno al geometra Burzilleri, ma non ho notato se vi erano bandiere”.
Escluse, quindi, la presenza delle “bandiere”, simboli rivoluzionari, cadeva tutto l’impianto accusatorio.
Monti e gli altri veniva infine assolto per non avere commesso il fatto, per il primo capo d’imputazione, e per insufficienza di prove, per il secondo. Anticiperanno di presentare ricorso. Ma il processo di appello non verrà mai celebrato, forse per noia.
Rimarranno, invece, ancora una volta i segni di una violenza politica e psicologica che logorato la pur forte fibra di un autentico combattente di cui Vero Felice Monti era dotato.
Lo aveva dimostrato in gioventù nelle vesti di comandante partigiano oltre la linea gotica.
Lo aveva dimostrato nella maturità, in diverse occasioni nel periodo salemitano.
Come quando, alla fine di un comizio serale tenuto nella centrale Piazza Libertà, doveva rientrare nella sua Marsala.
Avevano notato i compagni la presenza di qualche brutto ceffo aggirarsi al palco.
Li aveva avvistati anche lui. Gli amici non volevano farlo ripartire. Temevano un’imboscata. Lui scelse di rientrare, ma seguendo un diverso percorso e non la statale che da Salemi conduce alla città lilibetana abitualmente utilizzata.
Dopo alcuni giorni, i giornali riporteranno la notizia che sulla statale, proprio la stessa sera del comizio, una automobile venne bloccata da alcuni strani tipi e che uno di questi, rivolgendosi alla donna presente dentro l’abitacolo, avesse chiesto se si chiamasse “Maria Stella”.
La risposta fu negativa. Già, perché Maria Stella in quel momento si trovava su un’altra macchina, insieme al marito Felice Monti, entrambi alla volta di Marsala, ma attraverso la contrada Fontana Bianca.
Questa volta l’ex feudo dei Filingeri portò bene al sindaco di Salemi Monti.
Franco Ciro Lo Re