Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
28/02/2019 06:00:00

Belice. La storia dell'anziana col femore fratturato operata dopo 10 giorni "in trazione"

 In un momento così difficile per la Sanità pubblica, in cui non passa giorno che i media tendono a presentare la sanità italiana sempre come malasanità, con obiettivi non sempre nobili, raccontiamo un episodio di Buona Sanità.


Sperando in un giorno in cui si potrà parlare di “sanità”, punto e basta, senza aggettivi, oggi e’ doveroso schierarsi a favore dei professionisti (medici, infermieri e parasanitari ) che svolgono il proprio lavoro con coscienza, professionalità, passione, dedizione ed altruismo. Il minimo che si possa fare.


L’episodio che narriamo ci sembra essere esemplare sotto questo punto di vista.  Ci dimostra come ancora “malasanità” e “buona sanità” convivono, addirittura nella stessa Asp e a pochi chilometri di distanza. Una piccola storia che mette in evidenza un grande problema ancora irrisolto: assicurare ai cittadini un livello standard accettabile in tutte le strutture sanitarie operanti nel territorio.


Certo, non sempre le strutture in cui il personale opera e gli amministratori dirigono, offrono le medesime garanzie e gli stessi livelli di efficienza, ma ci sembra di potere dire che, a parità del valore del camice indossato e del ruolo direttivo espletato, spesso a fare la differenza rimane l’individuo che indossa quel camice e ricopre quel ruolo.

Il fatto.
Una anziana donna di 86 anni residente a Partanna di Trapani, ai primi del mese di febbraio, viene ricoverata d’urgenza per una frattura al femore al Pronto soccorso di un presidio sanitario della zona.  Si predispone subito per l’ intervento. Normale routine, ormai. Le cronache riferiscono quasi ogni giorno di operazioni di questo tipo su pazienti anche ultracentenari e tutte con esito positivo.


Unica difficoltà, nel caso che raccontiamo, potrebbe essere data dal fatto che l’ultraottuagenaria signora soffre di un aneurisma all’aorta toracica con la quale però convive da bel 12 anni. Cosa che, ovviamente, viene riferita ai medici del reparto dove viene ricoverata.
L’intervento chirurgico avviene ormai non più tardi di 24 ore, 48 al massimo, solo in casi eccezionali 72 ore!  La paziente, in questo caso, viene sottoposta a trazione scheletrica. Brutto segno. Non si fa più da lungo tempo. Di ore ne trascorrono ben 240! Dieci giorni. Una eternità. Un calvario per una vecchietta ormai al limite della sopportazione durato 10 giorni.

Durante tutto questo arco di tempo infinito, l’intervento viene programmato per due volte. Ma mai effettuato la paziente vene condotta in sala operatoria. La prima volta per indisponibilità del chirurgo ( per malattia, a quanto pare), e la seconda perché la struttura sanitaria, dicono al figlio dell’anziana signora, e’ priva di un chirurgo vascolare. Ohibò!


Dieci giorni di ricovero con l’arto tenuto in trazione, non son serviti a nulla?  Ma da qualche parte era scritto che qualcuno avrebbe fatto il miracolo. Magari con una telefonata! Ed e’ così che un ennesimo episodio di malasanità si trasforma in buona sanità. Potenza della tecnologia! Nella tarda mattinata del decimo giorno viene così stabilito che la paziente, a causa dell’ aneurisma all’aorta toracica, potrà essere operata solo in una struttura dotata di un reparto di chirurgia vascolare. Una decisione che si rivelerà salvifica. Rimane un punto interrogativo. Perché con cosi tanto ritardo? Ciò che non e’stato fatto in dieci giorni, viene deciso, senza porre tempo in mezzo, il trasferimento immediato presso l’Ospedale del Sant’Antonio Abate di Trapani. C’e’ il consenso provvidenziale della direttrice sanitaria dottoressa Maria Concetta Martorana.


Nell’ospedale trapanese, il giorno dopo, l’ottantaseienne signora verrà finalmente operata al femore. Le sue sofferenze e il tormento dei suoi familiari hanno così termine.  L’operazione ha avuto un ottimo esito. Merito dall’equipe formata dal primario ortopedico Salvatore Montante e dal primario di anestesia Antonino Cacciapuoti. Durante l’intervento chirurgico alla signora è stata trapiantata anche una protesi. Sarà pur vero che si tratta di un intervento di routine, ma non per tutte le età. Tanto che la signora non ha avuto complicazioni nemmeno a seguito dell’anestesia  ( e’ stata praticata l’epidurale) cosa che poteva preliminarmente preoccupare.

Un caso di buona sanità, come si vede, una bella storia che proviene non da un ospedale del nord ma della stessa zona, lontano solo pochi chilometri dall’altro dove due settimane prima era iniziata l’avventura. Oggi, la signora si trova presso la RSA (Residenza Sanitaria Assistenza) di Castelvetrano. Vi dovrà rimanere per 40 giorni almeno per la riabilitazione.


Ha una morale questa storia? Non lo sappiamo. Leggiamola come una concreta e fondata testimonianza di due differenti approcci allo stesso problema da parte di due strutture pubbliche. Stesse figure professionali, ma con operatività completamente diverse.


L’articolo 32 della Costituzione italiana recita che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Aggiungeremmo noi che non sempre taluni operatori onorano tale impegno, non diciamo costituzionale, ma anche solo deontologico.


Ma forse da questa storia si può capire il motivo per cui tanti siciliani contribuiscono a finanziare la sanità delle regioni del Nord per un ammontare pari a 40 miliardi di euro all’anno. Non esiste solo una distanza chilometrica tra Trapani a Milano, ma anche un’aspettativa di vita che e’ pari a 4 anni circa di vita in meno.


E in generale la prospettiva di vita nel Sud è molto più simile a quella di Romania o Bulgaria, mentre al Nord si avvicina a quella della Svezia. Numeri, questi, non staticamente aridi ma che invece fotografano la realtà quotidiana in cui i cittadini solo apparentemente sono solo vittime.

Franco Ciro Lo Re