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28/06/2019 07:56:00

Appropriazione indebita: non luogo a procedere per Pino Giammarinaro, querela tardiva

 E’ finita in una bolla di sapone (“non luogo a procedere” per tardiva presentazione della querela da parte degli amministratori giudiziari) il processo che davanti al giudice monocratico di Marsala Vito Marcello Saladino vedeva imputati, per appropriazione indebita aggravata in concorso, l’ex deputato regionale della Dc Pino Giammarinaro, la moglie Giovanna Calistro, Antonio Maniscalco, Giuseppe Angelo, Fabrizio Chianetta, tutti di Salemi, e Antonio Inzirillo, avvocato, di Gibellina.

Secondo l’iniziale accusa, i sei imputati si sarebbero appropriati di notevoli somme (circa un milione e 240 mila euro) prelevate dalle casse di centri medici e di fisiokinesiterapia che avrebbero fatto capo a Giammarinaro, mentre gli altri erano amministratori o soci “sulla carta” e in un caso (Angelo) dipendente. L’indagine, svolta dalla pg della Finanza della Procura di Marsala, e coordinata dall’allora procuratore Alberto Di Pisa, riguardava il “Centro Emodialisi Mazarese”, di cui era a.u. Maniscalco, il “Ginnic Club Alicia”, a Salemi, di cui erano soci accomandatari la Calistro e Chianetta, e la “Salus srl”, di cui era a.u. Inzirillo. Dal “C.E.M.”, a più riprese, sarebbero stati prelevati 954 mila euro, di cui 100 mila come prestito ad Angelo. Tutto ciò tra il 2008 e il 2011. Fino a poco tempo prima del maxi sequestro di beni (maggio 2011) subito da Giammarinaro con l’operazione di polizia e guardia di finanza “Salus iniqua”. Nel processo, però, l’accusa non è riuscita a provare il sospetto che Pino Giammarinaro fosse l’amministratore “di fatto” delle società e per questo motivo, lo scorso anno, il pm Niccolò Volpe aveva invocato l’assoluzione per l’ex deputato regionale e per altri tre imputati: la moglie dell’ex politico salemitano, Giuseppe Angelo e Antonio Inzirillo. E ciò dopo le dichiarazioni rese dagli amministratori giudiziari e una serie di documenti prodotti dalla difesa. Per Antonio Maniscalco e Fabrizio Chianetta, invece, c’era stata richiesta di condanna. Per il primo, il pm Volpe aveva chiesto due anni di reclusione, mentre per il secondo un anno e mezzo. Gli amministratori giudiziari presentarono la querela in ritardo perché in quel periodo era in corso una modifica legislativa per cui non era chiaro se, in questo particolare caso, si poteva procedere d’ufficio o se era necessaria una querela. Nel frattempo, è stato superato il limite dei 90 giorni.