Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
02/11/2019 06:00:00

L'Edipo di Emma Dante e l'esodo degli ultimi

 di Marco Marino

Di Edipo conosciamo il complesso, meno spesso ricordiamo la sua storia. Era un uomo solo, che impiegò un’intera vita a fuggire lontano dal destino di sangue e tragedia cui l’avevano condannato due genitori che non aveva scelto e un luogo nel quale non aveva deciso di nascere. Come tutti noi, si ritrovava colpevole soltanto di essere venuto al mondo e di aver cercato per sé e per i suoi cari un futuro sereno. 

Edipo, il nomade, il migrante, è sempre stato il prototipo dell’eroe solitario del teatro greco classico. Che “eroe” viene chiamato perché consapevole della sua diversità, del suo essere straniero ed estraneo alla società in cui vive o cerca di inserirsi, ma non per questo meno fiducioso del suo viaggio, anzi, disposto a percorrere qualsiasi strada pur di trovare un posto in cui essere felice. E per poco, sapete, solo per poco, c’era riuscito pure, a essere felice.

La maschera di Edipo è al centro dell’ultimo spettacolo di Emma Dante, “Esodo”, in questi giorni, e fine al 3 novembre, in scena al Teatro Biondo di Palermo con gli allievi della "Scuola dei mestieri e dello spettacolo". È sempre singolare sottolineare come i grandi drammaturghi, tutte le volte che hanno avvertito in crisi i sentimenti di accoglienza e pietà su cui s’è edificato l’Occidente, abbiano trovato ispirazione ritornando al mito greco. Come se volessero dirci: vedete, non siamo stati abbastanza attenti, è bene ritornarci su Eschilo, Sofocle ed Euripide. Ma con i nostri occhi. Jean Paul Sartre scrive “Le mosche” nel 1943, dalle Coefore di Eschilo; Bertolt Brecht “Antigone” nel 1947, dal dramma di Sofocle.

Emma Dante, però, non si limita a riscrivere l’“Edipo re” di Sofocle. Piuttosto, lo sovverte. Stravolge quell’idea secondo cui l’eroe da solo deve caricarsi tutto il peso della colpa che lo investe. In “Esodo”, Edipo (interpretato da Sandro Maria Campagna) non è più un uomo solo. Assieme a lui c’è il suo clan, che è composto dai suoi famigliari, la moglie Giocasta le figlie Antigone e Ismene, ma anche da tutte le vite e da tutti i fantasmi che ruotano attorno alla sua esistenza: la Sfinge, il simulacro del padre Laio. 

Ogni elemento del clan condivide la colpa di Edipo, la sminuzza, la accompagna, si fa coro di festa, un’improvvisata orchestra gitana che tra grida e danze finalmente trasforma il lamento del supplice nello strenuo desiderio di redimersi, di trovare l’altrove sperato. E finché qualcuno non trovi la pietà per ospitarli («Gli dei sanno chi disprezza il privilegio della pietà», ripetono all’unisono), i confini della casa di Edipo e del suo clan rimarranno i margini dei loro appendiabiti variopinti. Che costruiscono allo loro spalle un bosco di ombre inaccessibile a chi ancora oggi rimane estraneo, e straniero, al dolore degli ultimi.