“Confermare la condanna all’ergastolo inflitta in primo grado”. E’ quanto ha chiesto il pg Ettore Costanzo nel processo d’appello, a Palermo, al 48enne marsalese Nicolò Girgenti, che l’8 ottobre 2018 è stato condannato alla massina pena dalla Corte d’assise di Trapani per l’omicidio (in concorso con ignoti) del maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi, ferito a morte con un colpo di pistola la sera del 31 maggio 2016 nelle campagne di contrada Ventrischi.
“O ha sparato lui – ha detto il pg Costanzo - o è stato molto vicino a chi lo ha fatto”. Il sottufficiale, 53 anni, vice comandante della stazione di Ciavolo, era impegnato con un altro carabiniere, l’appuntato Antonello Massimo Cammarata, in un appostamento nei pressi di una serra all’interno della quale furono, poi, scoperte 6 mila piante di canapa afgana.
A uccidere il maresciallo fu un proiettile sparato da una semiautomatica Star, modello Bs calibro 9x19, ma sul luogo, oltre ai bossoli del collega che era dotato di una semiautomatica Beretta, vennero trovati anche i bossoli di una terza arma.
“Per questo abbiamo chiesto all’imputato di chiarire tutti i contorni di questo triste episodio, che sicuramente vede la responsabilità anche di altre persone” ha detto nella sua arringa l’avvocato Giacomo Frazzitta, legale di parte civile per i familiari di Mirarchi. Dopo l’intervento di Frazzitta, a sorpresa Girgenti ha chiesto di parlare. Ma dopo un colloquio con il suo difensore, l’avvocato Genny Pisciotta, ha cambiato idea. Non si saprà mai, quindi, cosa aveva intenzione di dire. Il presunto assassino fu arrestato dai carabinieri il 22 giugno 2016. “Arrivati all’incirca dove ci sono le serre – ha raccontato l’appuntato Cammarata, rimasto miracolosamente illeso - il maresciallo Mirarchi ha acceso la lampadina e abbiamo intimato: ‘alt, fermi, carabinieri’. Ma non abbiamo finito di dire le parole che ci hanno sparato addosso”. Dopo l’agguato, si indagò su un gruppo di persone che gravitava intorno alla gestione della serra poi sequestrata. E saltò fuori il nome di Girgenti, che la gestiva fino ad alcuni mesi prima. Il bracciante fu sottoposto allo stub, che fu analizzato dai Ris di Messina, che rilevarono un’alta percentuale di sostanze (nichel e rame) che secondo la difesa, però, non sarebbero riconducibili a polvere da sparo, ma ai fertilizzanti utilizzati da Girgenti nelle sue attività agricole. Una tesi che davanti la Corte d’Assise di Trapani non ha retto. Per la gestione della serra di marijuana, intanto, il gup di Marsala ha già condannato Girgenti a 2 anni e mezzo di carcere, Francesco D’Arrigo a 3 anni e mezzo e Fabrizio Messina Denaro (non parente del boss di mafia) a 3 anni. In una precedente udienza del processo davanti la seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Palermo (presidente Fontana), Girgenti aveva tirato in ballo un teste a sua difesa, ma questi ha smentito il suo racconto. Il teste tirato in ballo era stato il marsalese Giuseppe Barraco, attualmente detenuto. Girgenti aveva raccontato ai suoi legali (Pisciotta e Quaranta) di avere incontrato il Barraco alcuni giorni dopo l’omicidio del sottufficiale e che questi gli avrebbe detto che un extracomunitario gli aveva proposto di acquistare marijuana e una pistola senza caricatore provenienti dalle serre davanti alle quali fu commesso il delitto (sette i colpi esplosi, nel buio, contro i due carabinieri). In aula, però, Barraco ha smentito il racconto di Girgenti.
Le arringhe della difesa sono in programma per il prossimo 21 gennaio