Aumentano il prezzo del pane, con la scusa, tra le altre, che aumenta il costo del lavoro. Poi però si scopre che, a quanto pare, non pagano i dipendenti. Stiamo parlando dei panettieri marsalesi, e della vicenda giudiziaria che riguarda il loro rappresentante, Giuseppe Bonafede.
La condanna a quattro anni e mezzo di carcere è stata invocata dal pubblico ministero Francesca Ferro per Giuseppe Bonafede, 60 anni, uno dei più noti panificatori di Marsala (è rappresentante di categoria in seno alla Cna), processato davanti al giudice monocratico Iole Moricca con l’accusa di estorsione continuata in danno di diversi dipendenti. Secondo l’accusa, avrebbe versato ai dipendenti, spesso costretti a lavorare più ore del dovuto, cifre inferiori a quelle segnate in busta paga. Alcuni avrebbero lavorato anche “in nero”. A chi si lamentava avrebbe detto: “Se non ti sta bene, te ne vai. Le condizioni sono queste”.
Per l’accusa, dunque, la minaccia era quella del licenziamento. Giuseppe Bonafede aveva due punti vendita a Marsala: uno in via Mazara, l’altro in via Mazzini. In passato, è stato anche presidente dell’Associazione panificatori marsalesi e anche del Marsala Calcio. Ammontano ad oltre 330 mila euro le differenze retributive contestate dall’accusa nel processo. Il calcolo è stato effettuato dal consulente tecnico nominato dalla Procura, il commercialista Gaetano Marano, che fissa il totale imponibile previdenziale ed assicurativo evaso in 405 mila euro. Sottolineando, inoltre, che “occorre fare un distinguo fra personale sommerso e personale in forza”.
L’indagine è stata avviata, d’iniziativa, nel gennaio 2016, dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura quando era diretta del luogotenente Antonio Lubrano.
Bonafede, difeso dall’avvocato Arianna Rallo, è accusato, in particolare, di avere avuto dipendenti non in regola con il contratto di lavoro, retribuiti in “in nero” e sottopagati, condizioni che sarebbero state imposte con la minaccia, esplicita o larvata, di licenziamento. Nel processo, è imputato, per favoreggiamento, anche uno dei dipendenti “in nero”: il 36enne Giovanni Castagna. E’ accusato di aver rilasciato false dichiarazioni agli inquirenti. E per lui, il pm ha invocato una condanna a un anno e 4 mesi di reclusione. A difendere Castagna è l’avvocato Duilio Piccione.
A rappresentare le parti civili, invece, sono gli avvocati Roberta Tranchida, Vincenzo Sammartano e Giovanni Crimi. Quest’ultimo rappresenta l’associazione Codici.
I legali di parte civile sono intervenuti dopo la requisitoria.
La Tranchida rappresenta la prima dipendente che ha avuto il coraggio di ribellarsi dopo sei mesi di lavoro “in nero” e con la continua promessa di regolarizzazione. Per essere, poi, addirittura accusata da Bonafede (secondo gli inquirenti, ingiustamente) di aver rubato del pane e per questo motivo licenziata in tronco.
Nel corso del processo, alcuni testimoni hanno accusato vuoti di memoria, non ricordando più alcune delle dichiarazioni rese nel gennaio 2016 alla sezione di pg della Guardia di finanza che conduceva l’inchiesta. Vuoti di memoria relativi alle dichiarazioni più compromettenti per Bonafede. Tanto che il pm chiese se il loro cambio di rotta fosse dovuto alla presenza dell’imputato in aula. Due di loro, Marco Casano e Giuseppe Polessi, erano dipendenti di Bonafede. Lavoravano come panificatori. Casano ha ammesso (ma non poteva fare diversamente perché fu trovato sul posto dalla Guardia di finanza) che nel gennaio 2016 lavorava ancora per Bonafede, nonostante formalmente licenziato il 23 dicembre 2015. Lavorava, dunque, “in nero”. Giustificandolo con il fatto di dover mantenere moglie e figlia. Lo stipendio percepito era di 950 euro al mese. Alla Finanza dichiarò di essere “cosciente” di percepire una “retribuzione inferiore a quella spettante” e che gli venivano versati “minori contributi previdenziali”. Condizioni “vessatorie” che accettava pur di mantenere la famiglia. Sui contributi ha detto di non essersi mai interessato perché si fidava. E anche Polessi ha detto di non saper nulla di contributi. Alla Finanza aveva dichiarato: “Ho accettato tali condizioni perché ho bisogno di lavorare. Se mi lamento con Bonafede, lui mi licenzia in quanto vi è una moltitudine di disoccupati che cerca lavoro anche con condizioni più svantaggiose”.