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02/03/2020 04:00:00

La Corruzione al Comune di Palermo e le dichiarazioni del boss Filippo Bisconti

 L’inchiesta per corruzione al Comune di Palermo è al centro delle dichiarazioni rese da Filippo Bisconti, imprenditore edile, e ritenuto dagli inquirenti capo del mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno. Arrestato per associazione mafiosa il 4 dicembre 2018 nell’inchiesta Cupola 2.0, il boss, oggi collaboratore di giustizia, ha raccontato agli inquirenti circostanze e dinamiche interne agli uffici tecnici comunali, riferendo in particolare gli interessi coltivati per anni dai dirigenti comunali Li Castri e Monteleone e dall’architetto Fabio Seminerio.

E sarebbe stato proprio quest’ultimo a rivelare a Bisconti i suoi interessi sull’edificazione di una ex zona industriale.

“Una volta – ha rivelato il collaboratore di giustizia – con Fabio Seminerio stavamo andando a Baida assieme e passando di là, parlo un 3 anni fa, qualcosa del genere, andavamo a Baida, io ero con lo scooter, passando di là dico ‘bel cantiere qua, mi piacerebbe costruire qua’. E Fabio Seminerio mi disse ‘levaci manu, ca c’è a cu c’interessa’… Già c’è un certo accordo, ora deve costruire un’altra persona”.

Il comitato d’affari è formato, oltre che dall’architetto, dai dirigenti comunali Mario Li Castri e Giuseppe Monteleone, dagli imprenditori Giovanni Lupo e Francesco La Corte e dai due consiglieri comunali Sandro Terrani e Giovanni Lo Cascio, finiti ai domiciliari.

“L’inquietante contesto criminoso induce a ritenere del tutto ineludibile una sollecita applicazione di adeguate misure cautelari nei confronti degli indagati. Gli accertamenti svolti hanno ampiamente dimostrato come per gli indagati la corruzione altro non sia che un vero e proprio habitus mentale che ne connota l’agire quotidiano”. Questo scrive il gip Michele Guarnotta nell’ordinanza con cui ha disposto gli arresti domiciliari per i due consiglieri comunali, due dirigenti comunali, due imprenditori e un architetto che avrebbero gestito illegalmente pratiche amministrative per edificare in ex zone industriali.

“I pubblici ufficiali coinvolti nell’indagine – scrive – hanno palesato in modo inequivoco la propria infedeltà agli apparati pubblici in cui si trovano incardinati, interpretando i rispettivi munera quali appetibili beni da mettere sul mercato onde conseguire continui vantaggi indebiti. Contestualmente, i costruttori e i professionisti coinvolti nella vicenda parrebbero pacificamente vedere nella corruzione una sorta di costo necessario dei rispettivi lavori, stabilmente preso in considerazione al fine di acquistare gli indebiti favori di pubblici ufficiali che possano coadiuvarli nella realizzazione dei rispettivi obiettivi economici”.

“Ciò che maggiormente colpisce – conclude il gip – è la naturalezza con cui i protagonisti della vicenda addivengono a continui e reiterati accordi corruttivi, vedendo nello strumento illecito un passaggio obbligato per il compiuto svolgimento delle rispettive attività professionali”.