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13/01/2022 06:00:00

Mafia: Araba Fenice ad un passo dalla sentenza. I dubbi sul caso Pachino 

Araba Fenice, il processo di mafia tra Pachino e Portopalo di Capo Passero è alle battute finali. 48 udienze, oltre 50 persone a vario titolo chiamate al banco dei testimoni e una domanda su tutte campeggia intorno ai 40 capi d’accusa cui sono chiamati a rispondere i 14 imputati in attesa di giudizio e per i quali il Pubblico Ministero ha chiesto complessivamente 149 anni di condanne: Salvatore Giuliano è davvero il boss a capo dell’omonimo clan? E, soprattutto, viene da chiedersi: esiste davvero la mafia tra Pachino e Portopalo di Capo Passero con diramazioni di interesse economico - criminale anche nei limitrofi territori di Noto, Rosolini (SR) e Vittoria (RG)?

La risposta è da ricercare nei fatti e il primo tra questi è che nessuno si è costituito parte civile al processo, nemmeno la commissione straordinaria nominata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella chiamata ad amministrare il comune di Pachino dopo lo scioglimento per mafia. Non una delle persone offese - eccezion fatta per il furto di un mezzo agricolo. Gli imputati hanno ammesso i furti dei trattori ma anche secondo il PM tutti i furti sono stati commessi fuori dal contesto associativo - e nemmeno un’associazione anti-racket, un’associazione a tutela del territorio, dei consumatori o dei produttori agricoli. Questo avviene per “quella cappa di omertà e quello stato di soggezione e di intimidazione in cui versa la cittadinanza nei territori interessati dalle imputazioni” come asserisce il PM, il dott. Alessandro Sorrentino? Oppure, “la comunità locale pachinese in tutte le sue forme rappresentative di gruppo - come osserva l’avv. Giuseppe Gurrieri - ha deciso compatta di non costituirsi parte civile perché ha subito da parte dello Stato e dei suoi apparati un attacco senza precedenti che si è concretizzato in una efficace opera di demolizione del tessuto socio economico e che è poi culminato nel provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale per ingerenze da parte della criminalità organizzata”? Questo contesto, tra l'altro, fa pensare ad alcuni alla regola aurea del tre secondo l’ex magistrato Luca Palamara: “Le tre armi del sistema (sono) una procura, un giornale amico, un partito che fa da spalla politica”. E c'è chi dice che a Pachino possa essere avvenuta la stessa cosa.

Lo scioglimento del Comune di Pachino

L’allora sindaco di Pachino in carica, Roberto Bruno, ai microfoni di TP24, in un caldo pomeriggio estivo, ammetteva che la stampa, in particolare il giornale on line diretto da Paolo Borrometi, ebbe un ruolo determinante insieme a due interrogazioni parlamentari presentate dall’ex senatore Beppe Lumia, sentito al banco dei testimoni sullo scioglimento del Comune. «Un disegno con pupi e pupari», lo definiva l’ex sindaco.

A questo punto, oltre a richiamare le precedenti pubblicazioni, tiriamo fuori dal cilindro la seconda parte di quell’intervista, custodita sino alla chiusura delle discussioni difensive finali del dibattimento. 

«Sono stato accusato di negligenza, cioè di non aver fatto abbastanza per contrastare il diffondersi del fenomeno mafioso nel territorio», dichiara Roberto Bruno. «(Nelle motivazioni dello scioglimento, n.d.r.) citano delle operazioni di Polizia di cui un sindaco non è e non può essere al corrente prima perché sappiamo quanto un’attività d’indagine sia delicata. L’altra assurdità - incalza l’ex sindaco - è che nei procedimenti civili sulla mia incandidabilità non hanno mai fornito la relazione che la commissione che per ben sei mesi lavorò all’interno del Comune di Pachino presentò poi in Prefettura. Quindi, attualmente, a parte elementi sintetici, io non sono a conoscenza di eventuali addebiti perché altrimenti avrei dei procedimenti penali in corso che invece non ho. Questo è un altro aspetto molto strano che lascia molte perplessità e solleva enormi dubbi di legittimità sulla procedura di scioglimento ma soprattutto di manovratori che hanno voluto fortemente penalizzare non solo la mia persona ma un’intera città, un’intera comunità, e che continua a non volere che si faccia luce e chiarezza su quello che è successo». 

Bruno, con molta amarezza, ricorda che nella relazione del Prefetto gli veniva addebita finanche la vicenda che riguardava il comandante dei vigili urbani accusato di avere sottratto circa 123mila euro dalle casse comunali. «È assurdo addebitarlo a me quando io con l’allora Segretario Generale siamo andati in Procura a rappresentare al dott. Paolo Francesco Giordano quello che era accaduto a Pachino visto che ci eravamo accorti di un ammanco consistente!». E non solo: «Mi attribuiscono negligenza sulla gestione idrica a Granelli dove nel silenzio di tutte le istituzioni veniva perpetrata illegalmente l’erogazione dell’acqua: io sono stato il primo e l’unico ad avere contrastato gli interessi di un potente politico del territorio (l’on. Pippo Gennuso, n.d.r.) a cui ho addirittura sottratto la rete con un’ordinanza sindacale che è stata reiterata poi dai commissari. Per non entrare poi nel merito di altre vicende. Mi si attribuisce, per esempio, il mancato controllo su un abuso edilizio della villa di Salvatore Giuliano che io dovevo per forza sapere, come se un sindaco debba sapere tutto quello che accade sul suo territorio. Abuso edilizio che mi risulta sia stato per altro sanato. Quindi, hanno sciolto la mia amministrazione per un abuso edilizio che però è stato sanato. Oppure, per il mancato controllo a me attribuito di un parcheggio privato - sottolinea Bruno - che erroneamente viene attribuito a Marzamemi. Come se a Pachino non esistessero Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza perché è il sindaco che deve fare lo sceriffo… Parcheggio di cui io sconoscevo l’esistenza tanto’è che ancora oggi non ho capito nemmeno dove si trovi perché è in una zona balneare che io non frequento ma mi dicono che ancora c’è. Cioè, viene sciolta l’amministrazione per il parcheggio… per un bar! Perché a Pachino la mafia ama giocare a biliardino e parcheggia le macchine, non si interessa di grandi appalti», sbottava retoricamente Bruno. «Io ho gestito 20 milioni di gare d’appalto della nettezza urbana e quegli atti sono passati al setaccio dalla commissione, dalla DDA… da tutti. E non è stato eccepito nulla! Io ho gestito appalti dell’idrico, del fognario, della depurazione e non è stata eccepita una sola irregolarità», rivendicava orgogliosamente. «Quindi, se altrove la mafia si occupa di gestione degli appalti, a Pachino si occupava di biliardino e di parcheggiare le macchine. Devo desumere questo».

L’ex sindaco è assetato di rivendicazioni sul proprio operato da primo cittadino: «Sono stato il primo sindaco dopo vent’anni ad avere affidato la revisione del piano regolatore generale perché avere un piano regolatore generale scaduto conveniva a tanti: nella deregulation potevano fare quello che volevano con la politica delle varianti. In cinque anni non ho portato in consiglio comunale nemmeno una variante proprio per il rispetto del territorio rigoroso da parte mia. E cosa succede? Attribuisco l’incarico al progettista di Palermo, tuttora in carica, selezionato con avviso pubblico a evidenziare il massimo della trasparenza. A me attribuiscono scarsa attività nel contrasto alla diffusione della criminalità, proprio a me che ho fatto protocolli per la legalità. Io personalmente, nella qualità di docente andavo a scuola a fare attività di formazione con i ragazzi, ho organizzato manifestazioni con don Luigi Ciotti: “Don Ciotti e la storia di Pachino”. Io sono stato il sindaco ad avere presentato 7 o 8 costituzioni di parte civile: nessun sindaco nella storia della mia città ha mai fatto una costituzione di parte civile». 

L’ex sindaco non è stato chiamato a testimoniare sullo scioglimento per mafia del suo Comune. Come abbiamo visto, lui nemmeno conosceva Salvatore Giuliano e tantomeno il consigliere d’opposizione Spataro avrebbe mai avanzato pretese di alcun genere per stessa ammissione di Bruno. Quindi viene da chiedersi: in che modo la mafia avrebbe portato allo scioglimento del Comune di Pachino con le sue ingerenze?