Condannato, a Marsala, per “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, minacce e lesioni gravi, il noto commerciante internazionale di opere d’arte Giovanni Franco Becchina, 83 anni, castelvetranese residente a Basilea. A Becchina il giudice monocratico Giusi Montericcio ha inflitto un anno di reclusione, con sospensione della pena condizionata al pagamento di una “provvisionale” di 5 mila alla parte civile sul risarcimento danni da quantificare complessivamente davanti al giudice civile. Ed inoltre pagamento delle spese legali.
A rappresentare l’accusa è stato il pm Ignazia Uttoveggio. Titolare anche di un importante oleificio, nonché di altre attività imprenditoriali, Becchina salì agli onori della cronaca quando nel novembre 2017 la Direzione investigativa antimafia di Trapani eseguì il sequestro del patrimonio mobiliare, immobiliare e societario che secondo l’accusa era a lui riconducibile. Sequestrata, allora, a Castelvetrano, anche la società proprietaria di un'ala dell’ex castello “Bellumvider” realizzato nel 1239 per accogliere Federico II e che poi diventò il Palazzo dei principi Pignatelli Aragona Cortes Tagliavia.
E proprio alcuni locali di Palazzo Pignatelli sono stati al centro del processo conclusosi, in primo grado, a Marsala. Questi i fatti, datati 2017: la figlia di Becchina aveva concesso alcuni di questi locali in comodato (uso gratuito) all’architetto Francesco Maria Giancontieri, che ne aveva bisogno per allocarvi momentaneamente, in attesa di altra sistemazione, uffici e attrezzature della sua impresa edile.
L’anziano commerciante, però, non condivise la decisione della figlia e cominciò ad intimare all’architetto Giancontieri di lasciare i locali. E per essere più convincente, sarebbe passato, secondo l’accusa, anche alle minacce (“Qua potrebbe andare tutto a fuoco”).
Tra la figlia e l’architetto non c’era un accordo scritto, ma solo verbale. Per sdebitarsi, l’ospite avrebbe eseguito dei lavori di rimaneggiamento dei locali. Ma Becchina senior, difeso dall’avvocato Giovanni Miceli, non avrebbe voluto sentire ragioni. E un giorno Giancontieri, costituitosi parte civile con l’assistenza dell’avvocato Antonino Gucciardo, trovò il cancello chiuso con una catena. Ne scaturì una dura discussione con Becchina che, dopo avere tolto la catena, reagì ad una frase di Giancontieri, che parlò di alcuni strani furti subiti in quei locali, colpendolo con la catena in faccia. E provocando all’architetto seri danni alla mascella. Al processo, però, l’imputato ha sostenuto che Giancontieri si era fatto male da solo perché “era inciampato”. Ma Becchina non sapeva che il professionista-imprenditore edile, alle prime battute della lite, aveva attivato la videocamera del telefonino. E le immagini, con relativo audio, sono state portate al processo e visionate in aula.