Sulla vicenda dello stalking a Pantelleria che ha visto la condanna con sentenza ormai definitiva, a due anni e 8 mesi di carcere per produzione di materiale pornografico, del 38enne pantesco Paride Martino Pulizzi e sul fatto che con il suo avvocato sia passato al contrattacco denunciando
Scrivo nell’interesse dei miei assistiti Roberta Silvia, oggi maggiorenne ma all’epoca dei fatti soltanto quindicenne, nonché Giambattista Silvia e Antonia Canale, di lei genitori. Lo faccio – sia pur brevemente e senza entrare nel merito della dolorosa vicenda – in relazione all’articolo pubblicato on line da codesta spettabile Testata il giorno 20 luglio 2022 dal titolo “Stalking a Pantelleria. Pulizzi denuncia la sua accusatrice”, fermo restando l’irrinunciabile principio secondo cui le sentenze definitive, quindi emesse all’esito dei tre gradi di giudizio, vanno accettate e non discusse.
La “documentazione” (chat e quant’altro) che sarebbe stata ritrovata soltanto adesso dal signor Paride Martino Maria Pulizzi e che costituirebbe oggetto della querela che lo stesso avrebbe presentato, tramite i Carabinieri, alla Procura della Repubblica di Marsala, con il patrocinio del Collega Francesco Vinci, ha avuto accesso, quantomeno in gran parte, nel processo avanti al Tribunale penale di Marsala, che ha decretato la condanna del Pulizzi alla pena di anni due e mesi 8 di reclusione (otre al risarcimento dei danni in favore dei miei assistiti costituitisi parti civili), oramai passata in autorità di cosa giudicata in virtù della conferma intervenuta anche avanti la Corte Suprema di Cassazione.
I Giudici, in sostanza, hanno ritenuto ininfluenti quei “documenti” che il Pulizzi afferma di avere ritrovato (e non scoperto) soltanto successivamente alla definitività della pena allo stesso inflitta. In ogni caso, il riferito “ritrovamento” di detta “documentazione” da parte del signor Pulizzi, testimonia che essa “documentazione” esisteva già al momento in cui poteva essere prodotta in giudizio e, conseguentemente, l’Avvocato Vinci sa bene che non potrà, nel modo più assoluto, essere accolta una eventuale istanza di revisione del processo.
A beneficio dei lettori lo scrivente sommessamente riferisce come l’articolo 630 del codice di procedura penale al comma 1 lettera c) fra i presupposti della revisione individui il caso in cui dopo la condanna sopravvengano o si scoprano (non certo si ritrovano …) nuove prove che sole o unite a quelle già valutate, dimostrino che il condannato deve essere prosciolto …
Pertanto, gli atti e/o i documenti persi e poi ritrovati non possono costituire nuova prova ai fini della revisione dato che detti atti e/o documenti già esistevano e degli stessi vi era comunque stata disponibilità e conoscenza … semplicemente non si sapeva più che fine avessero fatto.
In ragione di quanto contenuto nell’articolo oggetto delle presenti repliche, che invero non preoccupa neppur minimamente i miei assistiti anche per le ragioni che precedono, Roberta Silvia, Giambattista Silvia e Antonia Canale, per quanto di loro rispettiva pertinenza, valuteranno l’opportunità di sporgere controquerela all’indirizzo del signor Pulizzi. Tuttavia, non è detto che lo facciano; significherebbe tornare a “vivere”, nel ricordo, le atroci sofferenze dagli stessi patite.
Lo scrivente professionista, anche a nome dei propri patrocinati, tanto doveva e sentitamente ringrazia per lo spazio che gli verrà concesso, non senza rimarcare, altrettanto sentitamente, che avrebbe fatto volentieri a meno di dovere replicare ad argomentazioni incentrate su fatti oramai definitivamente accertati.
Avv. Antonio Consentino