Ci sono le pressioni ad allevatori, gli affari nei supermercati, il controllo delle aste. Non fanno più grandi affari, ma intervengono in piccole e grandi controversie.
E’ questa la mafia delle famiglie di Marsala e Mazara che viene fuori dall’inchiesta della condotta dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), che ieri ha portato a 18 misure cautelari: 7 arresti in carcere, 10 domiciliari e 1 obbligo di dimora. Le indagini hanno smantellato il sistema di controllo economico e criminale orchestrato dal mandamento mafioso di Mazara del Vallo.
Ci sono nomi nuovi e vecchie conoscenze del panorama criminale tra Marsala e Mazara. Ma il sistema è sempre quello. Reduci della vecchia consorteria mafiosa che si muovono molto da battitori liberi, e lavorano in affari che non attirano grandi capitali. Anzi, è più una mafia di tradizione, con il lavoro per il controllo delle campagne e il mantenimento di alcuni modus operandi: come quello delle aste giudiziarie truccate.
IL CONTROLLO MAFIOSO DEL TERRITORIO
L’inchiesta ha rivelato come il mandamento mafioso di Mazara del Vallo esercitasse un controllo capillare sul territorio, sfruttando metodi coercitivi per dominare settori strategici. Un altro aspetto centrale è il dominio sulle aste fallimentari e sulle aree di pascolo, con episodi documentati di violenza contro chi non rispettava gli accordi imposti dalla mafia. Gli affiliati utilizzavano minacce per costringere allevatori e imprenditori a cedere beni o denaro, rafforzando così il controllo economico sul territorio.
I NOMI DEGLI INDAGATI
L’ordinanza del GIP ha disposto il carcere per: Aurelio Anzelmo, Pietro Burzotta, Domenico Centonze, Pietro Centonze, Ignazio Di Vita, Alessandro Messina e Luigi Prenci.
Ai domiciliari: Giancarlo Nicolò Angileri, Paolo Apollo, Antonino Giovanni Bilello, Vito Ferrantello, Michele Marino, Giovanni Piccione, Giuseppe Prenci, Massimo Antonio Sfraga e Gaspare Tumbarello.
Obbligo di dimora per: Lorenzo Buscaino.
IL MANDAMENTO MAFIOSO DI MAZARA
Il mandamento mafioso di Mazara del Vallo ha una lunga storia di dominazione nel Trapanese, con figure centrali come Mariano Agate, noto boss di Cosa Nostra che guidò il mandamento durante gli anni di massimo potere dell’organizzazione. Agate gestiva un sistema mafioso capillare, consolidando il controllo sulle famiglie di Mazara e delle città vicine, come Marsala, Salemi e Vita.
Dopo Agate, la leadership del mandamento passò a figure come Vito Gondola, che mantenne il controllo fino alla sua morte nel 2017, organizzando un rigido sistema di comunicazioni tramite i “pizzini” per Matteo Messina Denaro. Successivamente, il potere è passato a uomini come Pietro Burzotta, che ha continuato a gestire il controllo delle aree di pascolo e a risolvere controversie con metodi mafiosi.
Mazara rappresenta uno dei centri nevralgici di Cosa Nostra, con un’influenza che si estende alle città vicine, tra cui Marsala, dove la famiglia mafiosa ha avuto un ruolo storico significativo. Negli anni, la leadership marsalese è passata da figure come Antonino e Vito Vincenzo Rallo, fino a Ignazio Lombardo e Antonino Bonafede, che hanno mantenuto un controllo diretto su attività illecite come l’estorsione e il traffico di droga. Tuttavia, la famiglia di Marsala ha progressivamente assunto un ruolo subordinato rispetto al mandamento di Mazara, subendo colpi importanti con arresti e sequestri.
I CENTONZE
I cugini Domenico e Pietro Centonze sono accusati di essere elementi chiave del mandamento mafioso, con un ruolo diretto nella gestione delle risorse agricole nella contrada Grinesti. Attraverso minacce e intimidazioni, i Centonze avrebbero costretto allevatori a cedere i terreni, consolidando il controllo mafioso nella zona.
Le intercettazioni rivelano piani per intimidire allevatori e imporre il dominio sulle aree rurali, rafforzando così le accuse contro di loro. Domenico e Pietro Centonze vantano anche significativi precedenti penali legati a reati mafiosi e violenze nel territorio.
Le intercettazioni mostrano i Centonze pianificare l’allontanamento forzato degli allevatori, imponendo pagamenti o abbandoni dei terreni. Un allevatore ha raccontato di minacce di violenza fisica e danni economici qualora non avesse accettato le loro condizioni.
I cugini Centonze erano soliti detenere armi da fuoco per consolidare il loro potere. Le intercettazioni rivelano piani per intimidire allevatori e discutere la gestione delle aree di pascolo, rafforzando le accuse a loro carico.
Figura chiave in questa inchiesta è soprattutto Domenico Centonze. È cugino del capomafia ergastolano Natale Bonafede e nel 2021 è stato assolto, per «non aver commesso il fatto», dalla Corte d’assise d’appello di Palermo dall’accusa di avere ucciso i tunisini Rafik El Mabrouk e Alì Essid, di 31 e 34 anni, uccisi con due colpi di fucile, la notte del 3 giugno 2015, in contrada Samperi, tra Marsala e Mazara, di fronte l’ex distilleria Concasio.
Le due vittime, i cui corpi caddero a terra in uno spiazzo trasformato in discarica abusiva, viaggiavano su un ciclomotore. In primo grado, l’allevatore era stato condannato dal gup di Marsala a 20 anni di carcere insieme al cugino Pietro Centonze, di 55 anni , in passato condannato per favoreggiamento alla mafia, che dal duplice delitto è stato assolto nel processo d’appello. Il duplice omicidio rimane, ancora, senza colpevoli.
MASSIMO SFRAGA
Tra gli indagati spicca Massimo Sfraga, imprenditore marsalese già condannato nel 2012 per il suo ruolo di referente mafioso nel settore ortofrutticolo. Sfraga è accusato di favoreggiamento aggravato per aver mediato in una vicenda di estorsione legata all’acquisto di terreni, mostrando piena consapevolezza del ruolo degli affiliati mafiosi. Ha anche gestito rapporti con i vertici del mandamento per risolvere dispute interne all’organizzazione.
PIETRO BURZOTTA
Pietro Burzotta, genero del boss Vito Gondola (deceduto qualche anno fa e molto legato a Matteo Messina Denaro) avrebbe ereditato il controllo delle terre di pascolo, imponendo il dominio mafioso attraverso violenze e minacce. Intercettazioni lo collegano a decisioni chiave per la gestione dei beni agricoli e alla risoluzione di controversie economiche in favore del mandamento mazarese.
LE ASTE TRUCCATE
Le turbative d’asta rappresentano un altro aspetto rilevante dell’inchiesta. Gli indagati, tra cui Domenico Centonze e Michele Marino, avrebbero manipolato la vendita di beni immobili, impedendo una competizione trasparente e favorendo così l’acquisizione dei beni da parte della mafia. Al centro del caso, la vendita giudiziaria del bene immobile appartenente alla società Orto Verde di Giuseppe Alberto Argano s.a.s., situato tra Mazara del Vallo e Petrosino.
LUIGI PRENCI
Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, Luigi Prenci è emerso come figura centrale nel consolidamento economico del mandamento. Avrebbe garantito protezione mafiosa per le sue attività imprenditoriali, offrendo in cambio sostegni finanziari e favori economici agli affiliati.Uno degli aspetti più inquietanti emersi dall’indagine è il ricorso sistematico di Prenci alla “giustizia” mafiosa per risolvere problemi imprenditoriali. I sodali di Cosa Nostra avrebbero garantito una forma di arbitrato criminale, sostituendosi alle autorità e legittimando la loro presenza sul territorio. Questo sistema avrebbe permesso a Prenci di consolidare i propri affari in un contesto di totale omertà e intimidazione.
Questa operazione rappresenta un duro colpo per Cosa Nostra nel Trapanese, smantellando meccanismi consolidati di controllo mafioso su settori strategici come le aste fallimentari, le terre agricole e il traffico di droga.