In Sicilia, la terra è tutto: lavoro, tradizione, risorsa. Ma nelle campagne di Mazara del Vallo e Marsala, la terra è il teatro di un controllo silenzioso e pervasivo. Qui, pochi reduci di Cosa Nostra decidono chi può pascolare e chi no, imponendo la propria legge con la violenza e l'intimidazione. Qui, tra Marsala e Mazara, i vecchi interessi della mafia vivono ancora, sulle gambe degli eredi di anziani boss delle terre, dei sensali, e di chi controlla le aste giudiziarie.
L’ultima inchiesta della DDA di Palermo, che ha portato all’esecuzione di 18 misure cautelari, fa luce su quelle zone tra Marsala e Mazara in cui Cosa Nostra mette le mani.
PERCHÈ PER COSA NOSTRA IL CONTROLLO DEI PASCOLI È VITALE?
Controllare i pascoli significa controllare l’economia locale. In un territorio dove la zootecnia e l’agricoltura sono attività cruciali, Cosa Nostra trasforma i pascoli in una risorsa da spartire tra affiliati e complici. La mafia assegna i terreni a proprio piacimento, ignorando leggi e proprietà, e usa la violenza contro chi osa opporsi. Il controllo non è solo economico, ma simbolico: la mafia si sostituisce allo Stato, imponendosi come unico arbitro di ordine e giustizia.
Esempi chiari sono la vicenda della famiglia Barracco, costretta ad abbandonare le proprie terre, e quella dei Tumbarello, obbligati a cedere parte di un terreno acquistato all’asta. Entrambi i casi mostrano come Cosa Nostra anche in provincia di Trapani sfrutti i pascoli per rafforzare il proprio potere sul territorio.
IL SISTEMA DI CONTROLLO: DAI GONDOLA AI CENTONZE
Il controllo delle aree di pascolo è un sistema radicato e, nel mandamento di Mazara, era nelle mani del defunto boss Vito Gondola, che ne gestival’assegnazione. Alla morte di Gondola, il controllo passa al genero Pietro Burzotta, che eredita il ruolo di supervisore delle terre, stabilendo a chi affidarle e punendo chi si oppone.
Burzotta è parte di una famiglia profondamente radicata in Cosa Nostra. È il fratello di Diego Santino Burzotta, noto killer mafioso condannato all’ergastolo per molteplici omicidi, e di Luca Burzotta, definitivamente condannato per associazione mafiosa. Tuttavia, Pietro Burzotta, in passato coinvolto in un processo per associazione mafiosa, è stato assolto a causa di testimonianze contraddittorie tra i collaboratori di giustizia. Nonostante ciò, le indagini più recenti lo descrivono come figura attiva e influente nel mandamento mazarese.
A fianco di Burzotta agiscono Paolo Apollo, cognato di Gondola, e Ignazio Di Vita, entrambi coinvolti nell’intimidazione degli allevatori e nella gestione diretta delle aree. Aurelio Anzelmo, nipote acquisito di Gondola, avrebbe invece contribuito alla spartizione dei pascoli, mentre Domenico Centonze e il cugino Pietro si sarebbero occupati di risolvere le controversie, a volte con metodi violenti.
Le intercettazioni ambientali raccolte nell'ordinanza del Gip di Palermo svelano incontri tra i mafiosi, nei quali vengono stabilite le assegnazioni dei pascoli e le modalità per intimidire gli allevatori. Solo chi gode dell’autorizzazione di Cosa Nostra può pascolare, mentre chi osa contestare viene minacciato e allontanato con la forza.
I METODI PER RISOLVERE LE CONTROVERSIE
Le controversie sui pascoli vengono risolte da Cosa Nostra, che agisce come un tribunale parallelo.
Gli affiliati ricorrono spesso a spedizioni punitive per imporre la volontà mafiosa. Domenico Centonze, ad esempio, propone azioni violente contro chi non rispetta gli ordini. In alcuni casi, si attua una mediazione interna, come dimostrato dall’intervento di Ignazio Di Vita nella disputa tra i Centonze e altri allevatori. Tuttavia, quando i conflitti coinvolgono più famiglie, si cercano accordi per mantenere l’equilibrio all’interno dell’organizzazione.
IL CASO BARRACCO
La vicenda della famiglia Barracco, conosciuta come “i topi”, è uno dei casi più emblematici del controllo mafioso sulle aree di pascolo. Eredi di un ex-associato mafioso, Giuseppe Barracco, i membri della famiglia si insediano nei pascoli di Mazara del Vallo. Tuttavia, con l’ascesa dei nuovi vertici mafiosi, la famiglia Gondola decide di estrometterli e di affidare le terre ai Centonze, di Marsala.
Domenico Centonze, con l’appoggio di Pietro Burzotta e Paolo Apollo, guida le operazioni per cacciare i Barracco dalle terre. I Centonze ricorrono a minacce e violenze fisiche per costringere i Barracco ad abbandonare i pascoli. Sentendosi in pericolo, i Barracco si rivolgono a Pietro Rallo, nipote del capo mafia di Marsala, per ottenere protezione.
Questa controversia rivela la complessità delle dinamiche interne a Cosa Nostra. Mentre i Gondola e i Centonze consolidano il loro potere, l’intervento di Emilio Alario, nipote di Gondola, a favore dei Barracco, genera ulteriori conflitti, evidenziando le tensioni tra famiglie mafiose per il controllo delle terre.
IL CASO TUMBARELLO
La famiglia Tumbarello si scontra con la stessa logica di potere. I fratelli Gaspare e Giovanni Tumbarello si aggiudicano un terreno all’asta, ma l’acquisto va contro gli interessi di Nino Bilello, un allevatore ritenuto vicino a Cosa Nostra.
Dopo l’aggiudicazione, Domenico Centonze interviene con minacce e aggressioni fisiche ai danni di Gaspare Tumbarello, costringendolo a cedere metà del terreno a Bilello. Per sedare il conflitto, Alessandro Messina, fratello del boss detenuto Dario Messina, agisce come mediatore imponendo un accordo. I Tumbarello, intimoriti, accettano la divisione delle terre durante una riunione mafiosa.
LA LEGGE DEL PIÙ FORTE
I casi dei Barracco e dei Tumbarello rivelano un sistema consolidato in cui Cosa Nostra si impone con la forza. Le decisioni vengono prese dai vertici mafiosi e imposte senza possibilità di appello. La terra diventa una moneta di scambio, uno strumento per estendere il controllo del mandamento e rafforzare alleanze.
Il controllo dei pascoli nel mandamento di Mazara del Vallo è una delle tante espressioni del potere di Cosa Nostra. Le figure di Pietro Burzotta, Paolo Apollo, Domenico Centonze e Alessandro Messina emergono come protagonisti di un sistema che sfrutta la terra per consolidare il dominio mafioso.
I pascoli, che dovrebbero essere risorsa e lavoro per la comunità, diventano invece terreno di violenze e soprusi. La mafia decide chi può lavorare e chi no, imponendo il proprio potere e sostituendosi allo Stato.