Fu Michele Sammartano, deceduto lo scorso 20 dicembre, ex socio della ditta che amministrava il night club ‘’Cupido’’, a denunciare, prendendo le distanze dall’attività, i presunti illeciti che sarebbero stati commessi tra le mura del locale di contrada Berbarello. L’indagine dei carabinieri sfociò poi (15 luglio 2013) in cinque misure cautelari: tre arresti domiciliari e due obblighi di dimora nel Comune di residenza. Al processo sono, però, arrivati in due: Francesco Bianco, di 71 anni, e Diego Marino, di 34. Gli altri tre indagati, infatti, e cioè Giovanni Candela, di 42 anni, legale rappresentante della coop ‘’Cupido One’’, Andrea Figuccia, di 60, e il figlio Vincenzo, di 30, hanno preferito patteggiare la pena, evitando così condanne probabilmente più pesanti. Bianco, ex noto gommista della zona, era il proprietario dell’immobile nel quale, secondo l’accusa, era stata organizzata un’attività di incontri sessuali a pagamento, ma non è accusato di aver avuto un ruolo nella gestione del club. Davanti al magistrato, ha già dichiarato che lui non sapeva cosa accadeva nel locale, dove Diego Marino svolgeva mansioni di cameriere, ma per gli investigatori avrebbe invece controllato, diretto e amministrato l’intera ‘’attività di meretricio’’. Al momento dell’irruzione dei carabinieri, nel locale erano presenti una ventina di clienti, sollazzati da 21 ragazze, in gran parte dell’Est Europa e nordafricane. Dalle indagini è venuto fuori che per ogni prestazione sessuale, della durata di una decina di minuti, i clienti pagavano 50 euro. La metà sarebbe stata incassata dai gestori del locale. Nel night, i militari trovarono anche mezzo grammo di cocaina. L’indagine era stata avviata a seguito dei tre incendi dolosi tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012. Disposti, quindi, servizi di osservazione ed intercettazioni, non solo si scoprivano autori e mandanti dei danneggiamenti, ma si fece luce anche su quanto avveniva all’interno del Cupido Club. Veniva così scoperta un’organizzazione che dietro le forme di un’associazione ‘’celava una vera e propria casa di prostituzione’’. Andrea Figuccia, vice presidente, con il figlio Vincenzo, prima barista e poi vice amministratore, e Diego Marino, avrebbe controllato, diretto e amministrato l’intera attività. Giovanni Candela, invece, aveva il compito di reclutare le ragazze, acquisendo informazioni su età, caratteristiche fisiche ed esperienza nel settore. Nella logistica, Candela era coadiuvato da Andrea Figuccia. Vincenzo Figuccia e Diego Marino avevano la supervisione dei pagamenti, cronometrando addirittura anche il tempo trascorso dai clienti con le prostitute e incassando le somme. Le ragazze avevano anche il 50% sulle consumazioni. Meno di due mesi prima, sempre i carabinieri avevano scoperto un altro locale a ‘’luci rosse’’ in contrada Digerbato, il ‘’Bocca di rosa’’, anche questo molto frequentato. In quel caso, due persone furono poste agli arresti domiciliari e per altrettante scattò il divieto di dimora in provincia di Trapani. In entrambi i casi, per scoprire cosa accadeva dentro quei locali un carabiniere, autorizzato dal magistrato che ha coordinato le indagini, si è finto cliente. Nella seconda udienza del processo, è emerso che Sammartano nel 2012 aveva presentato ben tre denunce. Non potrà testimoniare in quanto deceduto, ma il pm Trainito ha chiesto che vengano lette in aula le sue dichiarazioni. Il Tribunale (presidente Sergio Gulotta) deve ancora decidere se accogliere o meno la richiesta. Nel frattempo, ha acquisito due dvd e le intercettazioni ambientali effettuate in fase d’indagine.