Dover mettere mani al portafoglio potrebbe rivelarsi molto più doloroso di una condanna penale ad alcuni mesi di reclusione. Considerando, soprattutto, che al di sotto di un certo numero di anni, in realtà, in carcere non si va.
E’ il caso del 55enne pregiudicato marsalese Luigi Scoma, noto per essere stato arrestato e poi condannato nel procedimento “Peronospera II”, che il 18 luglio 2019 è stato assolto, in primo grado, dall’accusa di lesioni personali e minacce dal giudice Lorenzo Chiaramonte, che ha sostanzialmente la tesi difensiva (avvocato Andrea Pellegrino) della “legittima difesa”, ma che adesso, in secondo grado, è stato condannato a risarcire i danni procurati alle due persone picchiate.
E’ quanto ha stabilito la IV sezione della Corte d’appello di Palermo. Il ricorso in appello è stato presentato solo dalle parti civili, Giuseppe e Giovanni Figlioli, padre e figlio, rappresentati dagli avvocati Gaetano Di Bartolo ed Edoardo Alagna. E per questo i magistrati non hanno potuto esprimersi sul piano penale, ma solo su quello civile. Ribaltando, comunque, di fatto, il giudizio di primo grado. Accogliendo la richiesta degli avvocati Di Bartolo e Alagna, hanno, infatti, sentenziato la condanna di Scoma “al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili da liquidarsi davanti al competente giudice civile”. L’imputato è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali di primo e secondo grado. La sera del 19 settembre 2015, intorno alle 19.30, Luigi Scoma picchiò due persone che erano andate a trovarlo sul posto di lavoro (una pasticceria di via degli Atleti) non si sa bene se per discutere o per menare le mani. Motivo della lite: una relazione sentimentale extraconiugale dello Scoma con una donna del gruppo familiare opposto. Per legali di parte civile, gli avvocati Edoardo Alagna e Gaetano Di Bartolo, che hanno assistito le due persone picchiate, Giuseppe e Giovanni Figlioli, padre e figlio, poi costrette a ricorrere alle cure dei medici del Pronto soccorso dell’ospedale di Marsala, i loro assistiti non erano andati in via degli Atleti per dare una lezione allo Scoma, ma ciò nonostante furono colpiti con calci e pugni.
I due Figlioli riportarono lesioni giudicate guaribili in trenta giorni (per Giuseppe Figlioli) e cinque giorni (per Giovanni Figlioli). Il primo, infatti, riportò un “trauma contusivo distorsivo al ginocchio sinistro con frattura della metafisi prossimale della tibia e della testa del perone. Mentre per il secondo, contusione toracica e graffi al volto. Due giorni dopo, Giovanni Figlioli presentò querela contro Scoma. L’avvocato difensore Andrea Pellegrino, però, davanti al giudice Chiaramonte, puntò sul fatto che furono i Figlioli ad andare a trovare lo Scoma (sul luogo di lavoro, dove c’era anche la moglie) e il giudice di primo grado, alla fine, gli diede ragione.
L’accusa di minacce, invece, era scattata perché lo Scoma, per il quale il pm aveva chiesto 5 mesi di reclusione, avrebbe detto a Giovanni Figlioli “Ti ammazzo, ora ti faccio vedere io”. Ma in Tribunale non ci fu alcun testimone che affermò di avere sentito quella frase.