Tutti assolti per il processo su appalti pilotati e corruzione scaturito dall’operazione “Palude” del 2018 tra Castellammare del Golfo ed Alcamo, nel Trapanese. Il tribunale in primo grado ha emesso sentenza sostenendo che “il fatto non sussiste” per tutti e quattro gli imputati. Assolti l’ex dirigente comunale di Castellammare Simone Cusumano, il tecnico libero professionista Antonino Stabile e i due imprenditori Antonino e Severino Caleca.
"I miei assistiti - commenta soddisfatto uno dei legali, Luigi Pipitone - Ninni Caleca ed il padre Antonio erano stati sottoposti agli arresti domiciliari per quattro mesi circa a fronte, addirittura di una richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere, per una imputazione che non avrebbe dovuto neanche essere formulata, in ragione della sua evidente infondatezza, fin dall'origine. Stessa situazione cautelare per l'ingegnere Cusumano. All'esito del processo, adesso, sono stati assolti perché il fatto non sussiste".
Dalle intercettazioni è uscito anche il nome di Simone Cusumano. Da un focus della guardia di finanza si era ipotizzato che il dirigente avrebbe sistematicamente agevolato due imprenditori titolari di altrettante società di costruzione, di estrazione di pietre e di coltivazione. A loro venivano assegnati, sulla base dell’originaria accusa, appalti pubblici con affidamento diretto in somma urgenza. Per le fiamme gialle in violazione della normativa in materia di codice degli appalti e dei lavori pubblici. In cambio, sostennero gli inquirenti, al dirigente castellammarese e alla moglie sarebbe stata concessa gratuitamente una porzione di terreno di proprietà di una delle due società riconducibili a questi imprenditori agevolati. Sarebbe stata consentita l’installazione di due campi eolici per la produzione di energia elettrica.
Nel corso del processo il pm stesso aveva chiesto l’assoluzione per gli imputati. Stando alla ricostruzione fatta in aula l’ingegnere Cusumano, all’epoca dirigente al dell’ufficio tecnico del Comune di Castellammare del Golfo, si era mosso “nell’interesse del Comune”. Le sue procedure per l’aggiudicazione degli appalti, sarebbe stato dimostrato, sarebbero state regolari e motivate. Dunque nessun intreccio o preferenze nei confronti del tecnico esterno e dei due imprenditori. L’accusa si basava proprio su questo.
Questo è solo un troncone del processo “Palude” che scattò nel 2018 e che secondo la finanza avrebbe fatto emergere una sorta di consolidato sistema tra burocrati e corruttori in un intreccio di appalti e corruzione. Tanto che all’epoca ci furono ben 26 indagati con accuse a vario titolo di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, falso materiale ed ideologico commesso da pubblici ufficiali in atti pubblici e violazioni alla normativa in materia di appalti pubblici. Un’operazione che sfociata nell’ambito di due distinti procedimenti che hanno finito per intersecarsi fra loro. Questo è accaduto sulla base delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Tutto comunque è partito da Giuseppe Pirrello, a capo del genio civile trapanese dal 2015 e sino all’arresto. Pirrello, secondo l’accusa, avrebbe agevolato le pratiche che finivano al Genio civile che passavano attraverso l’ufficio privato del figlio, con studio di geometra ad Alcamo.