Dopo dieci anni, la Corte d'Appello di Catania ha annullato il provvedimento di confisca emesso nel 2014 nei confronti dell'imprenditore catanese Antonio Padovani e della sua famiglia. La confisca, decisa dal Tribunale di Caltanissetta, riguardava un patrimonio valutato in 45 milioni di euro, composto da partecipazioni societarie, immobili, ville e persino una Ferrari.
Padovani, noto nel settore delle scommesse telematiche, era stato accusato di aver collaborato con famiglie mafiose di Gela, investendo somme significative nelle loro attività e risultando condannato per intestazione fittizia di beni. A seguito di queste accuse, l'intero patrimonio era stato confiscato per presunta sproporzione tra le risorse lecite e gli investimenti effettuati.
Tuttavia, la Corte d'Appello ha stabilito che la confisca era priva di "base legale", accogliendo la richiesta di revocazione presentata dai legali dell'imprenditore, Baldassare Lauria e Laura Ancona. Secondo la difesa, le condotte contestate a Padovani non potevano giustificare una misura di prevenzione patrimoniale in quanto la norma relativa all’intestazione fittizia era stata introdotta solo nel 2008, quindi successiva ai fatti contestati. Questo ha reso illegittima la confisca, poiché la legge non poteva essere applicata retroattivamente.
Gli avvocati Lauria e Ancona hanno sottolineato come questa decisione rappresenti un precedente di rilevanza assoluta nella giurisprudenza italiana, facendo eco al caso dei fratelli Cavallotti, recentemente discusso davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In quell'occasione, il Governo italiano è stato accusato di violazioni della Convenzione Europea, aprendo così la strada a una possibile riforma del codice antimafia.
Padovani e la sua famiglia ora attendono la restituzione dei beni confiscati. I legali hanno inoltre annunciato l’intenzione di avviare le procedure per richiedere un risarcimento per i danni subiti, derivanti dal congelamento delle loro attività per oltre un decennio. Secondo Lauria, "si tratta di un danno ingente, sia a livello economico che morale, che merita una compensazione adeguata, vista la lunga durata della vicenda e l'illegittimità del provvedimento originario".
Questa sentenza, oltre a segnare la fine di un lungo iter giudiziario, potrebbe rappresentare un punto di svolta per casi simili, sollevando interrogativi sulla conformità delle misure di prevenzione patrimoniale rispetto ai principi costituzionali e alle normative europee.