“Appena succede qualcosa, saliamo nel reparto... li sminchiamo”. E se i dottori parlano. “Sminchiamo anche loro”. I poliziotti si organizzavano in “squadrette” per picchiare i detenuti.
Emergono dettagli inquietanti dall’inchiesta sulla sezione Blu del carcere Pietro Cerulli di Trapani. Un’inchiesta che ha svelato torture, abusi, maltrattamenti ai danni dei detenuti più fragili, quelli con problemi psichici, che venivano rinchiusi in condizioni degradanti. L’indagine della Procura di Trapani ha fatto emergere un lato nascosto del carcere di Trapani, dove alcuni detenuti non avevano diritti e venivano maltrattati dagli agenti della polizia penitenziaria. 11 poliziotti sono finiti agli arresti domiciliari, altri 14 sono stati sospesi dal servizio. E sono 46 gli indagati, un agente su cinque del penitenziario di Trapani è sotto inchiesta.
La squadretta
Tra episodi di percosse, umiliazioni e scherni, le indagini hanno rivelato anche l’esistenza di una presunta "squadretta", un gruppo di agenti penitenziari incaricato di reprimere i detenuti con metodi brutali e illegittimi. La sezione Blu, destinata ai detenuti più fragili, tra cui molti con problemi psichici, si è trasformata in un luogo dove violenza e abuso erano la norma.
Secondo le intercettazioni, la "squadretta" veniva descritta dagli stessi agenti come un gruppo punitivo. Filippo Guaiana, uno degli indagati, avrebbe riferito in una conversazione intercettata che il gruppo sarebbe stato costituito dopo l’aggressione di un detenuto ai danni di un collega. L’obiettivo: rispondere con la forza alle proteste o alle presunte intemperanze dei reclusi. “Appena succede qualcosa, saliamo nel reparto... li sminchiamo” , avrebbe detto uno degli agenti intercettati, riferendosi ai detenuti.
Blu, la sezione degli orrori del carcere di Trapani
La sezione Blu del carcere Pietro Cerulli di Trapani, destinata all’isolamento dei detenuti, era pensata per ospitare i reclusi più fragili: persone con problematiche psichiche, soggetti a rischio o coloro che necessitavano di particolare sorveglianza. Tuttavia, secondo quanto emerso dall’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Trapani, questo spazio si è trasformato in un luogo di abuso sistematico, dove la violenza fisica e psicologica si abbatteva proprio sui più deboli. I fatti contestati agli agenti penitenziari assumono, quindi, un peso ancora maggiore, poiché rivolti verso persone incapaci di difendersi, già segnate da condizioni di estrema vulnerabilità.
Le indagini e gli arresti
L’inchiesta, avviata nel settembre 2021, ha portato all’arresto di 11 agenti penitenziari e alla sospensione dal servizio per altri 14. Complessivamente, 55 persone sono indagate per reati gravi come tortura, abuso di autorità contro i detenuti, falso ideologico e calunnia. Tra gli arrestati ci sono Filippo Guaiana, 40 anni di Trapani, Antonio Mazzara, 60 anni, e Claudio Angileri, 58 anni di Marsala. Gli altri indagati provengono da varie località della provincia e alcune anche fuori regione.
La sezione Blu, fulcro dell’indagine, è descritta dagli inquirenti come un luogo di violenza sistematica. I detenuti che vi erano rinchiusi, spesso affetti da problemi psichiatrici, diventavano il bersaglio di maltrattamenti deliberati, in un contesto in cui ogni norma di rispetto e dignità veniva violata.
Un quadro di abusi sui più fragili
Le condotte contestate agli indagati sono aggravate dalla condizione di vulnerabilità delle vittime. I detenuti, già isolati dal resto della popolazione carceraria, vivevano nella sezione Blu sotto una costante minaccia di ritorsioni e punizioni arbitrarie. Secondo quanto documentato dalle telecamere nascoste installate dagli investigatori, alcuni di loro venivano denudati e costretti a camminare nudi lungo i corridoi tra risate e insulti. In un caso, un uomo è stato schernito per le dimensioni dei suoi genitali, in una scena che gli inquirenti hanno definito umiliante e lesiva della dignità umana.
I detenuti con problemi psichici erano spesso colpiti in modo brutale: pugni, schiaffi e calci inflitti anche quando si trovavano già immobilizzati e incapaci di reagire. In un episodio documentato, un recluso è stato trascinato in slip lungo un corridoio bagnato e poi spinto dentro la cella con un calcio, un trattamento disumano che ha lasciato segni fisici e psicologici.
Oltre alla violenza fisica, molti detenuti sono stati bersagli di punizioni umilianti, come il lancio di acqua e urina all’interno delle loro celle. Tali atti, secondo gli inquirenti, miravano a instaurare un clima di terrore e a ridurre le vittime a oggetti di scherno, aggravando ulteriormente la loro condizione di fragilità.
Omissioni e falsificazioni
A rendere ancora più inquietante il quadro emerso dall’inchiesta è l’omertà diffusa tra gli agenti. Molti episodi si sono verificati alla presenza di altri operatori, che avrebbero omesso di intervenire pur avendo il dovere di farlo. In alcuni casi, gli agenti hanno falsificato le relazioni di servizio, attribuendo ai detenuti comportamenti violenti per giustificare gli abusi subiti. Questo sistema di falsificazione e copertura ha contribuito a perpetuare un clima di impunità nella sezione Blu.
Le dichiarazioni del procuratore Paci
Il procuratore della Repubblica di Trapani, Gabriele Paci, ha definito la sezione Blu “una zona franca”, dove tutto era permesso. “Questi episodi assumono una gravità ancora maggiore perché colpiscono soggetti già deboli, persone con problematiche psichiche che avrebbero avuto bisogno di assistenza, non di violenza,” ha dichiarato Paci.
Il procuratore ha evidenziato come il carcere debba essere una “casa di vetro”, dove la trasparenza e il rispetto dei diritti umani siano garantiti. “Non possiamo tollerare che la violenza venga considerata un metodo per mantenere l’ordine. Serve un intervento immediato per proteggere i più fragili.”
Un sistema che richiede riforme
La sezione Blu del carcere di Trapani rappresenta il simbolo di un sistema che ha tradito la sua funzione primaria di rieducazione e rispetto dei diritti umani. Quanto emerso dalle indagini solleva interrogativi urgenti sulla gestione delle carceri in Italia e sulle condizioni di chi vi lavora.
La gravità delle condotte accertate, unite alla fragilità delle vittime, richiede non solo un’azione giudiziaria esemplare, ma anche un impegno profondo per riformare il sistema penitenziario, garantendo che situazioni simili non possano più ripetersi. Le indagini proseguono, ma quanto emerso fino ad oggi impone una riflessione collettiva su un sistema che deve tornare a mettere al centro la dignità umana.
Le reazioni
La senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il giovane ucciso a Roma il 22 ottobre 2009 mentre era sottoposto a custodia cautelare (il 4 aprile 2022 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva due carabinieri) commenta l’inchiesta sul carcere di Trapani. «Ancora agenti della polizia penitenziaria accusati di violenze e torture, questa volta a Trapani. Una cosa gravissima. Ormai non c’è regione d’Italia dove le mele marce della polizia penitenziaria non siano accusate di abusi e comportamenti violenti ai danni dei carcerati. Poche mele marce che però infangano l’intero corpo della polizia penitenziaria. Anche dopo questa ennesima inchiesta della magistratura che ha portato agli arresti domiciliari 11 agenti e alla sospensione dal servizio per altri 14 il sottosegretario Delmastro prova gioia intima?».
«È ora di dire basta alle torture in carcere. Chiediamo al ministro Nordio - aggiunge - di intervenire, ma soprattutto chiediamo alla maggioranza di fermarsi con le disposizioni del ddl Sicurezza che peggioreranno la situazione negli istituti penitenziari».
«Il reato di tortura ha rotto il muro di omertà». Così il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, commenta gli arresti degli agenti penitenziari a Trapani.
«Quanto emerso in queste ore relativamente a quello che è accaduto nel carcere di Trapani, dove 46 persone sono indagate per vari reati, tra cui quello di tortura, segnala ancora una volta quanto questo reato sia fondamentale, per diverse ragioni - dice Gonnella -. Da una parte per perseguire i responsabili di questo crimine. Dall’altra, nel far sentire il supporto dello Stato alle persone che subiscono torture o violenze in carcere che oggi, molto più di prima, tendono a denunciare questi episodi. Per ultimo, anche per rompere il muro di omertà che troppo spesso in casi simili si creava in passato».
«Come già accaduto in altri casi - aggiunge - l’indagine, scattata dopo alcune denunce effettuate dalle persone detenute, è stata condotta dal nucleo investigativo della polizia penitenziaria, nel caso specifico quello regionale di Palermo, coordinato dal nucleo investigativo centrale».