Ma a una condizione: che il Pdl siciliano si ricompatti. Il gruppo del Popolo della libertà all'assemblea di Palazzo dei Normanni ha infatti subito una scissione. I "ribelli" guidati da Miccichè – 15 deputati, tra cui quelli legati a Gianfranco Fini – sono usciti dal Pdl ufficiale, facendo gruppo a sé. La rottura è avvenuta nei mesi scorsi dopo le forti contrapposizioni tra l'ala "lealista", vicina al presidente del Senato, Renato Schifani, e al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ostile al governo Lombardo pur facendone parte, e quella che si identifica in
Micciché, Dore Misuraca e Pippo Scalia, grandi supporter del leader catanese fondatore dell'Mpa. Adesso Berlusconi chiede la pace perché, dopo la crisi provocata dalla bocciatura del documento di programmazione economica e finanziaria con il voto contrario di "lealisti" e Udc, Lombardo ha dichiarata <fallita> la coalizione di centro-destra e ha cominciato a trattare con il Pd rendendosi disponibile a formare una giunta "con chi ci sta".
Il governatore ha in mente un governo di minoranza che può già contare su almeno 31 deputati su 90: 15 del Movimento per l'autonomia, 15 del Pdl-Sicilia, più il voto di un ex del Pd migrato nel partito di Francesco Rutelli. A questi potrebbero aggiungersi altri transfughi di Udc e Pdl ufficiale. Con 31 voti, però, il governatore non va da nessuna parte. O riesce a tessere miracolosamente in fretta i rapporti con il resto del centro-destra, il che sembra arduo. Oppure non gli resta che rivolgersi ai deputati del Pd con un'operazione politica che modificherebbe la natura della maggioranza e sposterebbe l'asse della politica siciliana e forse anche nazionale. Non a caso nel Pdl c'è grande agitazione. Nei giorni scorsi i tre coordinatori nazionali, tra cui il segretario nazionale del partito, Denis Verdini, hanno rivolto un pressante invito a Lombardo perché non si presti a ribaltoni. E Schifani è sceso in campo «a gamba tesa» nella politica siciliana (così ha chiosato il governatore) sostenendo che, piuttosto che l'inciucio con il Pd, preferirebbe il ritorno alle urne.
Il problema è che la frantumazione del centro-destra siciliano ha trasformato i democratici, con i loro 28 seggi, nel primo gruppo dell'assemblea di Palazzo dei Normanni. E' dunque con il Pd che Lombardo deve confrontarsi, se vuole durare; a meno di non scendere a miti consigli con l'ala "lealista". Miccichè ha dichiarato a Tgr Sicilia che il premier sembra deciso a scendere nell'Isola ai primi di gennaio proprio per cercare di ricomporre la frattura.
Intanto il Pd ha riunito (il 19 dicembre) l'assemblea regionale del partito ed ha approvato quasi all'unanimità la relazione del neosegretario Giuseppe Lupo, il quale, pur escludendo sia l'appoggio esterno alla giunta sia l'ingresso diretto, ha detto di essere pronto a «realizzare insieme» con Lombardo le riforme necessarie alla crescita e alla modernizzazione della Sicilia: da un nuovo sistema di gestione dei rifiuti a un nuovo sistema di formazione a una politica contro il precariato a favore dell'occupazione. Lupo ha chiesto al presidente della Regione che l'Mpa manifesti più chiari segnali di rottura con il centro-destra, a livello non solo regionale, com'è già avvenuto, ma anche nazionale.