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09/08/2019 06:00:00

Licata e il dissequestro di Baglio Basile e Delfino. Ecco come stanno davvero le cose

Ma davvero hanno dissequestrato tutti i beni all’imprenditore di Marsala Michele Licata? Ma davvero si è scoperto che è innocente, e gli sono stati restituiti il Delfino, il Baglio Basile, la Volpara, insomma, tutte le sue principali strutture alberghiere?

Girano tante voci in città in questi giorni, su una vicenda che è di interesse pubblico, e non solo locale. E girano tante informazioni false, mezze verità, alcune inesattezze.  Come nello stile di Tp24, cerchiamo di mettere ordine, e di spiegare, con calma, come stanno le cose, in base a quello che sappiamo, dato che sulla vicenda Procura, Tribunale, amministratori e avvocati mantengono una eccessiva riservatezza. 

Partiamo dall’inizio. Michele Licata è uno dei più noti imprenditori marsalesi, titolare del più grosso albergo della provincia, il Baglio Basile, a Petrosino, e di altre strutture turistico - alberghiere: il Delfino, il Delfino Beach Hotel, la Volpara, e altre società.

Nel 2015 Michele Licata finisce su tutti i giornali. La Procura di Marsala, infatti, chiede e ottiene per lui il sequestro di tutti i beni: 127 milioni di euro. Non solo le società, anche gli immobili, i conti correnti, tutto. La Procura, allora diretta dal Procuratore Di Pisa, sostiene che l’impero di Licata sia basato su una colossale truffa allo Stato, per un’evasione seriale di tasse e imposte. Il sequestro riguarda lui, sua moglie Maria Vita Abrignani, le figlie Valentina, Clara Maria e Silvia, la madre Maria Pia Li Mandri e il genero Roberto Cordaro.


Qui sotto potete vedere un pezzo della conferenza stampa dell’allora Procuratore Di Pisa.


 Nel suo comunicato, la Guardia di Finanza parlò "dell'esistenza di una diffusa (e penetrante) attività illecita condotta a favore di società gestite, in via diretta o mediata, dallo stesso Michele Licata, volta a depauperare l’erario sia attraverso la sistematica violazione della normativa penale tributaria, che attraverso l’illecita acquisizione di provvidenze pubbliche destinate allo sviluppo del settore turistico alberghiero. La poderosa evasione fiscale è stata conseguita, fra l’altro, mediante l’annotazione in contabilità di numerosissime fatture per operazioni inesistenti, ammontanti complessivamente a circa 25 milioni di euro. Le indagini successivamente svolte hanno poi acclarato che le somme apparentemente utilizzate per pagare le predette fatture sono state concretamente distratte dal Licata in proprio favore, sia attraverso la diretta sottrazione di somme dalle casse delle società, che attraverso la complicità degli apparenti fornitori i quali, dopo la negoziazione dei titoli bancari ricevuti a saldo di fatture per operazioni inesistenti, restituivano in contanti la somma ottenuta al Licata, che in tal modo nel corso degli anni si è appropriato di oltre 9 milioni di euro, sottraendoli alle casse sociali”.

E’ un fatto eclatante. Noi siamo abituati a vedere, infatti, il sequestro dei beni, per imprenditori vicino alla mafia. Quello che subisce Licata è invece il più ingente sequestro mai subito in Italia NON attinente a fatti di mafia.

Licata con una serie di operazioni contabili e una rete di complicità riusciva a presentare bilanci delle sue attività che a prima vista risultavano ineccepibili. Però, come persona fisica dichiarava al fisco poche migliaia di euro l’anno, aveva invece una disponibilità liquida di diversi milioni di euro.

Che significa “sequestro”? Michele Licata e i suoi vengono allontanati dalle aziende che gestiscono, che passano in mano, provvisoriamente, allo Stato. E tutto viene affidato a due amministratori giudiziari: il commercialista marsalese Antonio Fresina e Andrea Passannanti, palermitano, molto noto nel giro degli amministratori giudiziari.  Dopo il sequestro inizia, da un lato, il lavoro degli amministratori, che è quello di gestire e conservare bene le aziende, in questo caso gli alberghi e i ristoranti e l’altra roba. A proposito, ecco l’elenco dei beni sequestrati:

10 società e 3 ditte individuali e relativo compendio aziendale, comprendente alberghi, lussuose sale ricevimento, resort con piscine e centro benessere, ristoranti, stabilimenti balneari e altre strutture ricettive a Marsala e sull’isola di Pantelleria; – 75 fabbricati; – 257 terreni; – 23 autoveicoli; – 71 rapporti di conto corrente con liquidità per circa 6 milioni di euro; – 6 polizze vita del valore di 4,6 milioni di euro e partecipazioni societarie.

Le società oggetto di sequestro sono: Delfino srl, Delfino Ricevimenti srl, Roof Garden srl, Rubi srl, Don Mariano srl, L’arte bianca srl, Punta d’Alga srl, Rakalia srl, Sweet Temptation srl, Wine Resort di Abrignani Maria Vita & c., Sole Associazione cooperativa onlus, le omonime ditte individuali intestate a Michele Angelo Licata, Maria Vita Abrignani e Clara Maria Licata.

In parallelo comincia un processo, che si tiene a Trapani, in una sezione particolare, la “sezione delle misure di prevenzione”. In quella sezione un collegio di tre giudici deve decidere se quello che sostiene la Procura di Marsala sua vero. E quindi se trasformare il sequestro in confisca: ovvero, tutti i beni diventano di proprietà dello Stato. Il tribunale si occupa anche di misure personali: ovvero deve decidere se il soggetto in questione, Michele Licata, è socialmente pericoloso, e magari applicare delle misure restrittive della libertà personale per un tot di anni: ad esempio la sorveglianza speciale. 

L’abbiamo fatta breve, magari qualche purista del diritto si storcerà la bocca. Ma i fatti, in soldoni sono questi.
Il processo che si è chiuso in questi giorni non è un processo penale con imputato Michele Licata per qualche reato, è proprio il processo che abbiamo appena descritto, e cioè quello derivante dal sequestro dei beni.

Quindi non è vero che Michele Licata è stato assolto, perché non era, tecnicamente, imputato. Anzi, nel processo dove è imputato, legato a questi fatti, è stato già condannato in primo grado.
Già, perché c’è da chiarire questo aspetto. Il processo per il sequestro dei beni, chiamiamolo così, va su un binario parallelo rispetto al processo penale, e non interferisce.
Quindi, ripetiamolo, la vicenda della quale si parla in questi giorni non ha nulla a che vedere con le pendenze penali di Licata.
Nel processo penale scaturito dal sequestro, Licata è stato condannato: 4 anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere. Per quel processo è in corso l’appello.

Cosa ha stabilito il giudice della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani? Innanzitutto si tratta di un collegio, costituito dai giudici Visco, Marrocco e Troìa. I giudici non hanno emesso sentenza, ma un provvedimento che si chiama “decreto motivato di confisca”. Alla fine del procedimento, dopo aver ascoltato testimoni, consulenti, periti, eccetera, i giudici, di primo grado, hanno emesso il loro verdetto.

Cosa dice il verdetto? Che Licata è innocente e che tutti i beni gli vanno restituiti? No. La vicenda è molto complessa, e non è chiara neanche a molti protagonisti della faccenda.

Quello che è certo è che i giudici tracciano una linea di demarcazione temporale. Questa linea è il 2006, che è l’anno in cui comincerebbe l’operazione di frode fiscale messa in campo dal nostro. Ebbene, dicono i giudici, tutto quello che viene dopo quell’anno, è da ritenersi frutto delle ingenti ricchezze maturate frodando le tasse. Quindi, il sequestro va confermato e i beni confiscati.

Tutto quello che invece è datato prima del 2006, è da ritenersi frutto del lavoro di Michele Licata e della sua famiglia e non ci sono prove di attività fraudolente, quindi, va restituito.

In soldoni, i giudici dicono che deve essere restituito a Licata circa il 60% dei suoi beni (è, a naso, una proporzione nostra). La parte restante, no.

Ma è vero che tra i beni restituiti ci sono il Baglio Basile, il Delfino, etc?
Si e no. La vicenda è complicata. A volo d’uccello, si può ritenere che l’unica attività che potrebbe essere restituita per intero è il Delfino, lido e ristorante. Infatti, a memoria dei marsalesi, è il lido fondato dal padre di Licata, oggetto poi di successivi ampliamenti e migliorie, ma non recenti.

 Per gli altri complessi alberghieri è invece tutto molto complicato. Tecnicamente, il Delfino Beach  Hotel e il Baglio Basile vengono restituiti a Michele Licata, perché antecedenti al 2006, ma è anche vero che alcune lottizzazioni, gli ampliamenti (pensiamo alla spa del Baglio Basile, o la cantina ...), sono successivi, e quindi in teoria vanno confiscati. Sul Baglio Basile, poi, sorge più di un dubbio: perché è vero che la costruzione è antecedente al 2006, ma l’inizio dell’attività è contestuale se non successivo.

E quindi? E quindi non è esattamente finita bene per Licata. Perché c'è stato un sequestro consistente di quote societarie delle sue attività, e si va definendo una situazione unica in Italia, tanto che per i tecnici e gli esperti è davvero il caso più interessante per ora affrontato nel nostro Paese circa le misure di prevenzione, e nessuno sa bene come comportarsi. Il Baglio Basile, per essere ancora più chiari, sarà gestito da Licata, ma insieme all'amministratore giudiziario, che continuerà a gestirne una parte ... Questo significa che da un lato Stato e "preposto" dovranno lavorare insieme, e che dall'altro lato lo stesso imprenditore non avrà assoluta libertà di impresa, perché avrà una sorta di socio - controllore. Come rendere esecutivo tutto questo, in fase di gestione, è un vero problema. Ma è questa la notizia, ed è questa la verità che va ristabilita.  

Tra l'altro i legali di Michele Licata fanno intuire che potrebbero esercitare anche delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori giudizairi, perchè secondo loro in questi anni gli alberghi, i ristoranti, le sale ricevimenti, sono stati mal gestiti, con un crollo del fatturato e consulenze e spese inopportune. Quindi immaginate voi sedere accanto l'imprenditore tornato in possesso delle sue aziende, e l'amminsitratore giudizario accusato dallo stesso di avero mal gestito ...

Ma c’è di più. La vicenda è molto più complicata.
Perché in realtà i sequestri che hanno riguardato Michele Licata sono due. Quindi, definito il primo, è sempre vigente il secondo, che è collegato al processo per riciclaggio pendente davanti al Tribunale di Marsala. In questo secondo processo, l’accusa, per Licata, è quella di avere tentato di evitare, con una serie di operazioni bancarie, l’eventuale sequestro di altre somme di denaro, versandolo sui conti correnti dei familiari.

Quindi è per tre motivi che non è vera una delle cose che si dicono in città: che Michele Licata è tornato in possesso dei suoi beni. No, non può. Non può perchè parte consistenti delle quote delle sue attività rimangono sequestrate. Non può  perché c’è l’altro sequestro, non può perché il provvedimento del Tribunale di Trapani può essere oggetto di appello, e la Procura potrebbe chiedere la sospensione del provvedimento. 

I termini dell’appello scadono il 13 Settembre. Se per quella data né la Procura di Trapani né i legali di Licata fanno appello (e sarà coinvolta allora la sezione delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo), ci sarà la confisca e la parziale restituzione dei beni. Si aprono scenari surreali: perché si potrebbe delineare anche una situazione per cui, al Baglio Basile, ad esempio, ci siano insieme, a gestire l’azienda, sia l’amministratore giudiziario, sia Michele Licata.

Tutto qui? Non ancora. Perché, come dicevamo sopra, il processo per le misure di prevenzione riguarda non solo i beni della persona, ma anche la sua libertà. Ebbene,  Michele Licata, nel decreto, viene definito "socialmente pericoloso", e quindi oggetto di sorveglianza speciale. Essere un sorvegliato speciale significa non poter avere la patente di guida, altre licenze pubbliche, e avere alcuni particolari divieti (ad esempio l'obbligo di rientro in casa la sera). 


Ricapitolando: non è vero che Michele Licata è stato “assolto”
(anzi, in primo grado è stato condannato) non è vero che gli sono stati restituti tutti gli alberghi, ma solo una parte delle quote, e su questa parte bisogna capire e accertare un bel po’ di cose. Non è vero che Michele Licata è rientrato in possesso dei suoi beni, perché ci sono ancora diverse pendenze e un altro sequestro.