«Il silenzio è una forma di omissione». Tra le cose dette da Chiara Valerio, martedì 26 marzo ai Cantieri Culturali della Zisa, questa è forse la frase che ha risuonato di più. Perché nella provincia che conosciamo noi, o che conosco io almeno, cioè quella siciliana impenitente, il silenzio è sì, una forma di omissione; ma più di questo, è una forma di omertà. Che è una parola tanto simile, seppur radicalmente diversa.
Ma Chiara Valerio, nel suo ultimo libro Chi dice e chi tace (Sellerio Editore), non parla della provincia siciliana, né tantomeno del Meridione. Ci racconta invece Scauri, una minuscola frazione marittima sulla Via Appia, a pochi chilometri da Latina. Scauri che per altro è omonima di un’altra Scauri, quella di Pantelleria, con cui il legame è labile – forse leggenda. Così lei ci ha scherzato: «Marco Emilio Scauro, princeps senatus, ha fondato prima la Scauri laziale e poi quella di Pantelleria… e finché non uscirà un romanzo ambientato a Scauri di Pantelleria, per favore attenetevi alla mia versione».
Lo si intuisce dal titolo: tutto il romanzo ruota attorno al silenzio, al non detto. Vittoria, che è un’affascinante donna di sessant’anni arrivata a Scauri vent’anni prima, muore all’improvviso. E Lea Russo, voce narrante per tutta la durata della storia, si ritrova a ricostruirne non la morte ma la vita. Come in un giallo atipico, che trascina chi legge fino all’ultima pagina, trainato dalla forza delle cose taciute.
Giorgio Vasta, che lì ai Cantieri Culturali ha guidato la presentazione, ne ha parlato come di un romanzo della reticenza, infilandolo così in una tradizione letteraria moderna più ampia, quella che inizia con Stendhal – secondo Vasta – e che arriva fino a Sciascia, e che fa del non detto il perno di una storia.
Eppure, nel racconto di Chiara Valerio, la retorica del silenzio assume un valore diverso. Quello che non si dice, nella Scauri del romanzo, rende la realtà più tollerabile (come succede sempre) mentre intanto prova a decostruirla e a riscriverla in meglio (come succede di rado). Vittoria, infatti, arriva in paese insieme a Mara, che potrebbe esserle figlia per differenza di età, ma che non lo è. Compra casa, ci si trasferisce, condivide con Mara il quotidiano e il letto. E nessuno si chiede perché.
Nessuno si chiede perché, nessuno dice perché. La realtà di quella storia d’amore rimane taciuta, ma non nascosta; manifesta sotto gli occhi dei compaesani, ma mai davvero svelata. Lea Russo, che indaga sulla sua vita e non sulla sua morte, di volta in volta se ne stupisce: «Sono state amanti, loro due facevano l’amore. Speravo lo facessero, Le’. Ma tu ci pensavi mai?».
Intanto – sempre nel silenzio – Vittoria e quel suo vivere contro ogni convenzione scardinano piano piano gli ingranaggi arrugginiti del paese. Vittoria porta a Scauri nuove abitudini, nuove tradizioni: le cure alternative con le erbe medicinali, i vasetti di Kyr, i tornei di poker. A poco a poco, Scauri si lascia modificare da Vittoria, accogliendola senza chiedere, perché sente di non averne bisogno.
È un silenzio di provincia diverso, insomma, quello che viene raccontato in questo libro. Davvero non una forma di omertà, davvero solo una forma di omissione.
«Ho voluto raccontare Scauri perché ci sono nata e ci sono cresciuta», ha detto poi in chiusura Chiara Valerio. «Ora non ci vivo più, ma i miei nipoti sì e volevo raccontare proprio a loro la Scauri che ho conosciuto io, che non è poi tanto diversa da quella attuale. Ho raccontato Scauri così che possano apprezzarla a pieno, così che riescano a godersi la provincia». Nonostante i silenzi, o soprattutto per quelli, forse, perché sono silenzi accoglienti.